Alessio Boni: «La mattanza di Troia come il genocidio di Gaza: la storia non ha insegnato nulla»
L'attore nell’isola con la rilettura dell’Iliade di Omero: tappe a Cagliari e Sassari
L’Iliade tremila anni dopo. Passano i secoli, ma i grandi dilemmi restano gli stessi. Un mondo arcaico dominato dalla forza, dai soprusi, dai giochi di potere, dalla brama di ricchezza che non si discosta molto da quello contemporaneo. A mettere in scena questa rilettura dell’”Iliade - Il gioco degli dei”, diretta da Francesco Niccolini, è Alessio Boni, autore della drammaturgia insieme a Niccolini, Roberto Aldorasi e Marcello Prayer. A dividere il palco con Boni sarà Antonella Attili, insieme a Haroun Fall, Jun Ichikawa, Liliana Massari, Francesco Meoni, Elena Nico e Marcello Prayer. La pièce sbarca in Sardegna, sotto le insegne del Cedac, da mercoledì 10 a domenica 14 dicembre al Teatro Massimo di Cagliari, per poi chiudere lunedì 15 al Comunale di Sassari.
Boni, ricorda il suo primo approccio con l’Iliade?
«Non fu a scuola, io ho fatto la ragioneria serale - di giorno facevo il piastrellista - e non lo studiammo. La presi in mano all’Accademia Silvio D’Amico. Diciamo che ho avuto un approccio più maturo rispetto a chi lo scopre a 15 anni. Ricordo questo tomo con la traduzione di Monti, ogni tre frasi una parafrasi. In Accademia sviscerammo Omero come Dante e lì iniziai ad appassionarmi. Dentro il poema di Omero trovi davvero di tutto: c’è il romanzo rosa, la tragicomicità, le donne, la guerra, la forza. Con riferimento al mondo occidentale c’è tutto. Compreso il dualismo tra Ettore e Achille».
Lei per chi tifava: Ettore o Achille?
«Ettore è un eroe meraviglioso. Ha una moglie, una famiglia, viene attaccato per colpa del fratello. Ha un coraggio spaventoso, ma è anche marito, padre. C’è una sorta di soglia dell’umano quando lo leggi. Ma Achille è un semidio: anziché Iliade potrebbe chiamarsi l’Achilleide. Si parla sempre di lui, tutti lo temono, è il numero uno. Achille non è il più potente, ma il più veloce, ed è una tecnica meravigliosa. Io preferisco vedere un atleta a un boxeur. In più Achille ha una spada di Damocle spaventosa. Poteva scegliere di rinunciare ad andare a Troia, di fare una vita normale con i figli. Invece, lui sceglie di andare in guerra: meglio una vita breve ma con la gloria. L’unico modo per darla in barba alla morte è morire con la gloria. E infatti dopo 3mila anni di lui ancora tutti ne parlano».
Qual è la caratteristica della vostra Iliade?
«C’è Zeus che indice una riunione di tutti gli dei nel 2025, perché non sono più in auge, perché nessuno li prega più, nessuno squarta un capretto in loro onore. E soprattutto il monoteismo li ha completamente disarcionati. Fino a duemila anni prima non si muoveva voglia se loro non avessero voluto, oggi invece sono completamente ignorati. È un condominio di pazzi: Zeus è un vecchio smemorato, Era una donna annoiata, Atena una guerrafondaia, Ares goffo e balbuziente. Da questo loro modo di essere esce tutta la tracotanza, l’incostanza, l’essere fedifraghi, che rispecchia un po’ l’insolenza dei nostri potenti. Loro muovono le fila dei vari Ettore, Achille, Elena, e poi c’è la mattanza finale di Troia. Il genocidio di Troia».
È un richiamo all’attualità?
«Questo spettacolo noi lo abbiamo scritto sei anni fa, per fare capire come la storia ci invita a non ripetere gli errori del passato. Invece, oggi è peggio di allora. Vediamo quanto accade a Gaza e nessuno fa nulla. Nessuna sanzione a Netanyahu. È l’eterno ritorno dell’eguale, ma in modo peggiore: droni, bombe atomiche. Non è cambiato nulla, è solo peggiorato. Nello spettacolo si gioca, si ride anche, ma il finale è tragico, perché tutti vedono Gaza, la Palestina. È inevitabilmente teatro civile. Noi descriviamo il declino di questo occidente. L’unica nostra speranza è crescere in umanità. Il vero progresso sta tutto lì, il resto è un pozzo nero».
Come è il suo Zeus?
«Un disumano che sa anche ridere. Uno che sta sopra agli altri. Ha quel delirio di onnipotenza tipico di molti potenti di oggi: Trump, Putin, Orban, Netanyahu. Pensano di avere il mondo tra le mani e giocano con le vite degli altri».
