La Nuova Sardegna

Alghero

«La posidonia spiaggiata ad Alghero? Va riportata in mare»

Gian Mario Sias
Posidonia spiaggiata ad Alghero
Posidonia spiaggiata ad Alghero

Parla Lorenzo Chessa che nel 1999 guidò un pool di esperti per studiare il problema: «Elaborammo un rapporto per il Comune, ma nessuno lo ha mai più guardato»

27 dicembre 2018
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ALGHERO. Se la natura non può più fare il suo corso perché glielo impediscono le opere realizzate dall’uomo, allora l’uomo deve completare il ciclo naturale delle cose. Sembra uno di quei proverbi dettati da chissà quale antica filosofia orientale, ma in realtà è la ricetta, semplice semplice, che gli studiosi professano per la soluzione al problema della posidonia spiaggiata nel litorale urbano di Alghero. Da tanto, tantissimo tempo, addirittura da vent’anni. Parola di Lorenzo Chessa, già professore associato di Ecologia all’Università di Sassari e considerato uno dei massimi esperti nazionali in materia di Ecologia marina, specie se si parla dei fenomeni che riguardano il Mediterraneo. «Nel 1999 il Comune di Alghero mi ha chiesto di mettere insieme un comitato scientifico per tentare di dare indicazioni valide alla soluzione del problema delle banchette di posidonia», ricorda l’accademico. «Il comitato si è insediato nel giugno del 1999 ed era coordinato da Eugenio Fresi, celebre ecologo marino dell’Università di Roma, un luminare in ambito Mediterraneo, dal chimico Pietro Melis e da Gianfranco Russino, esperto algherese e responsabile successivamente dell’Area marina protetta di Capo Caccia e Isola Piana».

Il team di esperti ha consultato un’ampia bibliografia internazionale e ha stilato un rapporto. «È depositato in Comune, da qualche parte, ma nessuno l’ha mai più guardato – spiega Chessa – lì ci sono le indicazioni». Guardandosi bene dall’entrare nel cuore delle polemiche, Lorenzo Chessa parla di questioni ambientali in senso stretto. «In passato la presenza di banchette era minima perché la conformazione costiera consentiva alle mareggiate e ai marosi di asportarle e riportarle in mare – prosegue – oggi come può avvenire, se c’è il molo che protegge dallo scirocco e dal libeccio e consente il deposito di posidonia?». E ora? Come si viene fuori da questa situazione? Anche in questo caso la risposta è chiarissima. «Laddove è possibile mantenere in loco le banchette, bisogna realizzare una zona di rispetto che non va toccata – dice Lorenzo Chessa – ma al riposizionamento nel bagnasciuga ci deve pensare il mare». Perché questo avvenga, la posidonia deve tornare in mare. «Va riportata al largo, in zone fino a un massimo di cento metri di profondità, così da recuperare la sabbia e far sì che il materiale detritale sia buono per nutrire la fauna marina, che ne ha estremo bisogno, favorendo così anche la pescosità del Golfo di Alghero». Forconi e chiatte, dunque, per riportare la posizione in acqua e farle completare il corso naturale di decomposizione. «Stiamo parlando di un prodotto di prima scelta, è ridicolo che sia catalogato per legge come rifiuto – conclude Chessa – per questo ci siamo sempre detti contrari alla rimozione permanente attraverso le discariche».

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