La Nuova Sardegna

Alghero

Antonio Marras: "Senza turisti la Sardegna non può ripartire"

Alessandro Pirina
Antonio Marras a Milano durante una sfilata
Antonio Marras a Milano durante una sfilata

Lo stilista algherese racconta la sua quarantena e il ritorno alla normalità

23 maggio 2020
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Ha presentato la sua collezione alla Fashion week di Milano il 21 febbraio, quando il coronavirus aveva appena iniziato a mostrare all’Italia il suo volto pericoloso. Il giorno dopo è salito sull’aereo per Alghero, si è chiuso in casa ed è cominciato per lui il periodo più prolifico dal punto di vista della creatività. Insomma, l’estro di Antonio Marras non è andato in lockdown. Lo stilista racconta la sua quarantena, il suo ritorno alla normalità, le difficoltà di un settore come la moda e il rilancio della Sardegna alle prese col pasticcio della passaporto sanitario.

Marras, come sono stati i mesi di isolamento?

«Al di là della tragedia immane, epocale posso dire che queste giornate trascorse segregati in casa sono state le più prolifiche, intense, eruttanti di cose di tutta la mia vita. Ci hanno costretti a stare chiusi dentro casa e abbiamo potuto riscoprire oggetti e persone, abbiamo potuto dialogare, ci siamo scontrati ma senza poter scappare. È stato il periodo più intenso della mia esistenza. Ho fatto lavori, prodotto cose. Ho avuto un impulso di fare con tempi che non avevo mai avuto in vita mia. E poi ho rivisto film, ho fatto pane e biscotti e sono diventato un esperto di lavatrice e ammorbidenti».

E ora?

«Il mio sogno è continuare a restare a casa. Se avessi questo regalo potrei continuare a fare le cose che sto facendo a un ritmo che prima non conoscevo. La moda ha tempi differenti: scadenze, presentazioni, capsule. Potrei dedicarmi a tutto quello che sto facendo in questo momento: una mostra di ceramica a Milano, una mostra drive in a Brescia. Ho un progetto col museo Sanna di Sassari per il restyling del Padiglione Clemente. E ne sto portando avanti un altro per l’ospedale Sacco di Milano».

Come sarà il dopo Covid per la moda?

«Il problema è serissimo, perché c’è il divieto di aggregazione, le persone non si possono ritrovare. Ci sarà sicuramente un altro modo di comunicare: sfilate virtuali, video presentazioni. Ma il nostro prodotto non è una t-shirt o un jeans. Ha bisogno di essere contemplato, valutato, indossato, toccato».

Nel frattempo ha riaperto le boutique di Alghero e Milano. Com’è la ripartenza?

«Con mia sorpresa c’è una grande curiosità, un grande interesse. Nel suo piccolo Alghero è più ricettiva, Milano va più a rilento. Ho deciso di adottare una politica di contenimento dei prezzi perché ci fosse un approccio più facile al prodotto. Ho fatto una capsule (collezione, ndr) speciale per il dopo Covid. Mascherine personalizzate, t-shirt. Tutte cose che mantengono la riconoscibilità del nostro marchio ma a un prezzo più abbordabile. Un lavoro di marketing per contenere i prezzi, penalizzando i guadagni, ma mi interessa che ci sia una ripresa».

Quali effetti avrà sulla moda l’epoca Covid?

«Il modo di vestire non credo cambierà. Ma ci sarà più attenzione all’acquisto. La moda è sogno, desiderio. E in questo momento c’è più riflessione nell’esborso di denaro. Sarà per quel senso di colpa figlio della nostra educazione cattolica. Come se spendere in questo momento fosse contro natura».

Il dibattito sul passaporto sanitario rischia di compromettere la stagione. Che ne pensa?

«Mi sembra una cosa folle. Se non arrivano i turisti siamo fregati. È un problema serissimo. Ad Alghero il turismo è un volano che impiega migliaia di persone. Tutto in città ruota intorno al turismo. Temiamo per l’estate, anche perché non capiamo cosa debba succedere».

Un’idea di rilancio della Sardegna nel dopo coronavirus?

«Mi piacerebbe coinvolgere l’isola in un progetto che abbracciasse le varie discipline senza tabù. Ceramisti, orafi, falegnami, produttori di tappeti. Vorrei creare una commistione con gli artigiani e iniettare a tutti un po’ della mia follia».

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