Violentava la figlia, sconterà 11 anni
Mauro Lissa
L’imputato, infermiere ospedaliero, resterà libero fino al processo d’appello
13 maggio 2008
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CAGLIARI. Era stata la moglie a sorprenderlo: di notte, nel bagno di casa, con la figlia di otto anni. Atteggiamenti inequivocabili, una cosa sconvolgente per la madre di quella ragazzina, precipitata in un attimo nel vortice della disperazione più cupa. Ieri mattina questo padre da girone infernale, che fa l’infermiere in un ospedale della città, ha pagato il suo prezzo alla giustizia.
I giudici della prima sezione del tribunale - presidente Sette, a latere Casula e Massidda - gli hanno inflitto undici anni di carcere più tre di libertà vigilata per violenza sessuale consumata su una bambina. Il pubblico ministero Rossana Allieri aveva chiesto la condanna a otto anni di reclusione ma il collegio ha voluto andare al di là dell’accusa.
L’imputato era difeso dall’avvocato Giuseppe Putzu, la madre della bambina - che non si è costituita parte civile e dunque non ha chiesto alcun risarcimento economico - era tutelata dall’avvocato Bachisio Mele. La vicenda è del 2003: la madre della ragazzina si sveglia, si accorge che la luce del bagno è accesa, il marito non è al suo fianco. Si alza, va a vedere e si trova davanti a una scena terribile. Al mattino non ci pensa due volte e va dai carabinieri: subito una denuncia, scattano le indagini, la bambina viene sentita nel corso di un incidente probatorio in cui il racconto dei fatti non è limpido. Secondo la difesa emergono contraddizioni, uno stato di malessere dalle origini incerte.
Poi dalla relazione di un assistente sociale salta fuori che la piccola ha problemi di comportamento. Ma i test psicologici cui viene sottoposta, al di là dei molti vuoti, confermano il racconto della madre: disegni, ricordi, riferimenti che vengono interpretati in modo univoco. Impossibile accertare da quanto tempo i rapporti col padre andavano avanti, per l’avvocato della parte offesa non si è trattato di un episodio isolato.
L’imputato nel frattempo non parla, rinuncia all’esame del pubblico ministero e attende in stato di libertà il processo, dove si rifugia nel silenzio più impenetrabile. Ma in aula, al dibattimento che si è svolto a porte chiuse, pesa come un macigno la testimonianza della madre: chiara, precisa, circostanziata. Lei racconta come fosse un film quei momenti spaventosi vissuti in una notte che andrebbe dimenticata. E’ una prova forte: la violenza c’è stata, per il pubblico ministeo Allieri non ci sono dubbi e non ce ne sono neppure per i giudici del tribunale.
Ora la difesa presenterà con ogni probabilità il ricorso in appello contro la sentenza di condanna e l’infermiere potrà restare libero, in attesa del giudizio definitivo che sarà soltanto quello della Cassazione. E’ stato allontanato dall’abitazione della famiglia, vive in un altro appartamento e non potrà più avvicinare la figlia.
I giudici della prima sezione del tribunale - presidente Sette, a latere Casula e Massidda - gli hanno inflitto undici anni di carcere più tre di libertà vigilata per violenza sessuale consumata su una bambina. Il pubblico ministero Rossana Allieri aveva chiesto la condanna a otto anni di reclusione ma il collegio ha voluto andare al di là dell’accusa.
L’imputato era difeso dall’avvocato Giuseppe Putzu, la madre della bambina - che non si è costituita parte civile e dunque non ha chiesto alcun risarcimento economico - era tutelata dall’avvocato Bachisio Mele. La vicenda è del 2003: la madre della ragazzina si sveglia, si accorge che la luce del bagno è accesa, il marito non è al suo fianco. Si alza, va a vedere e si trova davanti a una scena terribile. Al mattino non ci pensa due volte e va dai carabinieri: subito una denuncia, scattano le indagini, la bambina viene sentita nel corso di un incidente probatorio in cui il racconto dei fatti non è limpido. Secondo la difesa emergono contraddizioni, uno stato di malessere dalle origini incerte.
Poi dalla relazione di un assistente sociale salta fuori che la piccola ha problemi di comportamento. Ma i test psicologici cui viene sottoposta, al di là dei molti vuoti, confermano il racconto della madre: disegni, ricordi, riferimenti che vengono interpretati in modo univoco. Impossibile accertare da quanto tempo i rapporti col padre andavano avanti, per l’avvocato della parte offesa non si è trattato di un episodio isolato.
L’imputato nel frattempo non parla, rinuncia all’esame del pubblico ministero e attende in stato di libertà il processo, dove si rifugia nel silenzio più impenetrabile. Ma in aula, al dibattimento che si è svolto a porte chiuse, pesa come un macigno la testimonianza della madre: chiara, precisa, circostanziata. Lei racconta come fosse un film quei momenti spaventosi vissuti in una notte che andrebbe dimenticata. E’ una prova forte: la violenza c’è stata, per il pubblico ministeo Allieri non ci sono dubbi e non ce ne sono neppure per i giudici del tribunale.
Ora la difesa presenterà con ogni probabilità il ricorso in appello contro la sentenza di condanna e l’infermiere potrà restare libero, in attesa del giudizio definitivo che sarà soltanto quello della Cassazione. E’ stato allontanato dall’abitazione della famiglia, vive in un altro appartamento e non potrà più avvicinare la figlia.