Sparito uno dei killer di Gisella
Mauro Lissia
◗
Gisella OrrùIl pentito Salvatore Pirosu non dà notizie di sé da quindici giorni
19 giugno 2008
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CAGLIARI. Tore Pirosu, il custode del mistero sulla morte di Gisella Orrù, è sparito dalla circolazione. Scontati nel carcere di Porto Azzurro parte dei ventiquattr’anni che la Corte d’Assise d’appello gli aveva inflitto come corresponsabile del delitto, ha lasciato in anticipo la sua cella grazie all’indulto e ad altri benefici legati alla buona condotta. Poi ha tracorso un lungo periodo in una casa famiglia di a Iglesias. Quindici giorni fa non è rientrato a dormire e ha fatto perdere le tracce di sè. Lo cercano i familiari, lo cercano con comprensibile preoccupazione i responsabili della struttura perchè temono che sia in pericolo. Ma finora nessuno è stato in grado di ritrovarlo.
Pirosu non sta bene: chi l’ha visto in tempi recenti riferisce di frequenti perdite della memoria, qualche volta ha avuto difficoltà a ritrovare la strada per tornare alla casa famiglia. Lui stesso però, nel corso degli anni, non ha nascosto di temere per la propria sicurezza. Senza mai specificare quale sia l’origine della potenziale minaccia. Uomo schivo e dal carattere sfuggente, Pirosu ha dovuto recitare suo malgrado un ruolo centrale nella sequenza di processi legati all’assassinio di Gisella, violentata il 29 giugno 1989 dopo uno spuntino nella pineta di fronte alla spiaggia di Matzaccara, vicino a San Giovanni Suergiu, stordita con un colpo alla nuca e poi uccisa con uno spillone conficcato nel cuore.
Il suo corpo venne trovato nel sifone di una condotta idrica profondo undici metri, circa dieci giorni dopo che i familiari ne avevano denunciato la scomparsa. A conclusione dell’inchiesta giudiziaria condotta dal pm Alessandro Pili vennero rinviati a giudizio Licurgo Floris e Tore Pirosu, accusati di concorso in omicidio volontario, soppressione di cavavere e ratto a fini di libidine. E fu Pirosu, nel corso del processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise di Cagliari, a proclamarsi pentito sostenendo di aver soltanto assistito alle premesse del delitto per poi chiamare in causa Floris.
In primo grado Pirosu prese trent’anni di carcere e Floris ne uscì assolto, ma in appello la Corte ribaltò il verdetto infliggendo a Floris trent’anni e accordando uno sconto di sei anni al suo accusatore. Era il 1991. Licurgo Floris si è sempre proclamato innocente e il 22 ottobre scorso ha messo fine alla propria detenzione impiccandosi nella sala d’attesa del carcere di Buoncammino. La sua fine ha risollevato i dubbi mai sopìti su una vicenda ancora in gran parte oscura, dove forse altre persone sono riuscite a restare nell’ombra. Personaggi che Pirosu ha continuato a evocare indirettamente anche nell’ultima uscita pubblica, quando la Nuova Sardegna lo incontrò nel penitenziario dell’isola d’Elba.
A quei personaggi misteriosi e mai identificati ha fatto riferimento negli ultimi mesi anche un uomo che si è messo in contatto con la famiglia di Licurgo Floris, annunciando di conoscere la verità sulla fine di Gisella. Si sarebbe rivelato un informatore poco informato, la Procura lo indaga per calunnia e il caso di Gisella è rimasto fermo alle carte processuali. Come dire che soltanto Pirosu, i cui racconti hanno sempre lasciato spazio a interrogativi e incertezze, potrebbe dare finalmente alla Procura di Cagliari elementi utili a riaprire l’inchiesta su basi realistiche e a risolvere a distanza di quasi vent’anni il giallo più inquietante della storia giudiziaria sarda.
Pirosu non sta bene: chi l’ha visto in tempi recenti riferisce di frequenti perdite della memoria, qualche volta ha avuto difficoltà a ritrovare la strada per tornare alla casa famiglia. Lui stesso però, nel corso degli anni, non ha nascosto di temere per la propria sicurezza. Senza mai specificare quale sia l’origine della potenziale minaccia. Uomo schivo e dal carattere sfuggente, Pirosu ha dovuto recitare suo malgrado un ruolo centrale nella sequenza di processi legati all’assassinio di Gisella, violentata il 29 giugno 1989 dopo uno spuntino nella pineta di fronte alla spiaggia di Matzaccara, vicino a San Giovanni Suergiu, stordita con un colpo alla nuca e poi uccisa con uno spillone conficcato nel cuore.
Il suo corpo venne trovato nel sifone di una condotta idrica profondo undici metri, circa dieci giorni dopo che i familiari ne avevano denunciato la scomparsa. A conclusione dell’inchiesta giudiziaria condotta dal pm Alessandro Pili vennero rinviati a giudizio Licurgo Floris e Tore Pirosu, accusati di concorso in omicidio volontario, soppressione di cavavere e ratto a fini di libidine. E fu Pirosu, nel corso del processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise di Cagliari, a proclamarsi pentito sostenendo di aver soltanto assistito alle premesse del delitto per poi chiamare in causa Floris.
In primo grado Pirosu prese trent’anni di carcere e Floris ne uscì assolto, ma in appello la Corte ribaltò il verdetto infliggendo a Floris trent’anni e accordando uno sconto di sei anni al suo accusatore. Era il 1991. Licurgo Floris si è sempre proclamato innocente e il 22 ottobre scorso ha messo fine alla propria detenzione impiccandosi nella sala d’attesa del carcere di Buoncammino. La sua fine ha risollevato i dubbi mai sopìti su una vicenda ancora in gran parte oscura, dove forse altre persone sono riuscite a restare nell’ombra. Personaggi che Pirosu ha continuato a evocare indirettamente anche nell’ultima uscita pubblica, quando la Nuova Sardegna lo incontrò nel penitenziario dell’isola d’Elba.
A quei personaggi misteriosi e mai identificati ha fatto riferimento negli ultimi mesi anche un uomo che si è messo in contatto con la famiglia di Licurgo Floris, annunciando di conoscere la verità sulla fine di Gisella. Si sarebbe rivelato un informatore poco informato, la Procura lo indaga per calunnia e il caso di Gisella è rimasto fermo alle carte processuali. Come dire che soltanto Pirosu, i cui racconti hanno sempre lasciato spazio a interrogativi e incertezze, potrebbe dare finalmente alla Procura di Cagliari elementi utili a riaprire l’inchiesta su basi realistiche e a risolvere a distanza di quasi vent’anni il giallo più inquietante della storia giudiziaria sarda.