La Nuova Sardegna

Cagliari

Giornata della Memoria a Cagliari, scampò al lager: "Il ricordo è un dovere"

Marco Di Porto
Marco Di Porto

Marco Di Porto oggi 79enne nella sala del Conservatorio per testimoniare sull'orrore della deportazione e sulla rete di solidarietà che salvò lui e la sua famiglia

27 gennaio 2020
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CAGLIARI. Salvato dalle suore di Trastevere dal rastrellamento del ghetto e dalla deportazione dei nazisti. Marco Di Porto, romano di 79 anni, nel 1943 era un bambino ebreo che non poteva andare a scuola per colpa delle leggi razziali di Mussolini del 1938. Ora gira l'Italia per raccontare la sua terribile esperienza. Quest'anno ha fatto tappa a Cagliari, in occasione delle celebrazioni della Giornata della Memoria. Davanti ai tanti piccoli studenti che hanno affollato la sala del Conservatorio, Di Porto è tornato indietro nel tempo per testimoniare un orrore universale.

«Noi ebrei eravamo considerati diversi - esordisce dal palco - Pensate un pò: secondo i nazisti e i fascisti avevamo il sangue differente da quello degli altri italiani». Marco si è salvato per miracolo. «Il Fuhrer voleva ottomila ebrei presi da Roma ma la nostra comunità era tranquilla perché aveva pagato con l'oro, cinquanta chili, la nostra libertà. Un'illusione - ricorda - La mia famiglia fu avvisata da una vicina di casa. E fece in tempo a scappare. Durante il rastrellamento noi eravamo già andati via». Nascosti e fuggiaschi nella Capitale. Senza un posto dove stare. «Abbiamo dormito una notte sui tavolacci di una chiesa e la notte successiva in un'altra, ma non potevamo starci più a lungo». Poi la svolta. «Un parroco ci diede il consiglio: 'Andate a Trastevere, c'è un convento che accoglie gli ebrei». E suonarono il campanello. «La madre guardiana non ci ha nemmeno fatto parlare - dice commosso rievocando quel giorno - Ci ha portato dentro il convento che ospitava già centocinquanta ebrei». Nove mesi nascosti. «Mia madre è stata la mia compagna di giochi e la mia maestra. Con lei ho imparato a leggere e a scrivere in italiano. E ho imparato anche il francese, lingua che mia madre usava per lavoro».

Dopo la liberazione, tra il 4 e il 5 giugno 1944, la rinascita e il rientro nella propria casa custodita, dopo la consegna delle chiavi prima della fuga, da una famiglia cattolica che abitava nello stesso pianerottolo della sua. «Mi sono ripreso quella vita che avevo perso», confessa. Oggi Marco Di Porto vive a Roma, ha due figlie e una nipotina. Da molti anni la sua missione è nelle scuole per raccontare e non dimenticare. «Finché avrò vita - promette - testimonierò quello che è successo. Perché questa storia non si ripeta. Mai più, mai più».(Ansa/Stefano Ambu)

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