La Nuova Sardegna

Nuoro

Il pellegrino scalzo per venerare San Francesco

di Pier Luigi Piredda
Il pellegrino scalzo per venerare San Francesco

Nuoro, 500 fedeli per gli oltre 30 chilometri dalla chiesa del Rosario a Santu Predu fino ai monti di Lula. Paolo Ladu fa il cammino a piedi nudi, porta lo stendardo del Santo ed è l'ultimo a entrare in chiesa

03 maggio 2014
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NUORO. Trenta chilometri sotto un cielo di stelle. Fermandosi per una sosta veloce e una preghiera ai piedi delle croci disseminate lungo il cammino, intorno alle quali c’è un falò acceso e gente che offre bevande calde e acqua, ma anche un rintemprante vov e l’immancabile vinello. La notte è meravigliosa: il maestrale ha spazzato via le nuvole regalando agli oltre 500 pellegrini un tetto punteggiato da miliardi di luci, che più avanti si mischieranno con quelle dei “camminanti” diretti al santuario sui monti di Lula.

Siamo partiti in almeno 500 dalla chiesetta del Rosario, nel cuore dell’antico quartiere di Santu Predu per fare il pellegrinaggio al Santuario di San Francesco di Lula . A mezzanotte, subito dopo il rosario, la benedizione e la consegna delle conchiglie da parte della Confraternita di San Jacopo di Compostela che ha così voluto sottolineare il forte legame tra il pellegrinaggio da Nuoro a Lula e il Cammino di Santiago. Uscendo dalla chiesa, tre colpi sul portale in legno: un gesto beneaugurante.

Poi via lungo i vicoli verso la chiesetta della Solitudine e poi giù nella discesa con nel cuore e nella testa soltanto un obiettivo: arrivare al santuario di San Francesco a Lula. Quella di “Santu Franziscu” è forse la festa più sentita dai nuoresi, vissuta intimamente come quella della Madonna delle Grazie. San Francesco, il frate che scelse la povertà, che parlava agli uccelli e anche ai banditi ed è infatti legata proprio al bandito Francesco Tolu, la leggenda del santuario immerso nel verde in cima a quella collina poco distante da Lula. Da dove Nuoro s’intravvede in lontananza. Le luci della città giocano a nascondino con la nebbia, che resta lontana dal santuario regalando a noi pellegrini, arrivati tra i primi lassù in cima, dopo oltre 30 chilometri di cammino, uno scenario da fiaba. Una di quelle immagini che non si potranno mai dimenticare: il duro percorso che ci siamo appena lasciati alle spalle disegnato dalle pile dei pellegrini che illuminano il loro arrancare sui sentieri impervi. L’arrivo nel santuario alle prime luci dell’alba ha il dolce sapore dell’impresa, che si trasforma in qualcosa di mistico appena arrivati nel piazzale.

E così il senso religioso della festa s’impadronisce di ogni cosa, di ogni movimento, di ogni sorriso. Il priore Giuseppe Sedda è un omone alto e grosso e quindi può controllare tutto dall’alto. L’ospitalità, innanzitutto. Le donne di casa si muovono con una sincronia da far invidia ai ristoranti stellati delle guide Espresso e Michelin. Dalla cucina arrivano caffettiere fumanti, pentoloni pieni di latte e di tè, frittelle appena sfornate, biscotti. E anche il filindeu. I pellegrini gradiscono dopo la fatica. E ringraziano.

Qualcuno approfitta dell’occasione per provare il rito della lavanda dei piedi con la Confraternita di San Jacopo. I fedeli arrivano a ondate, si rifocillano e poi vanno in chiesa. La prima messa è quella delle sette, ma quest’anno è stata anticipata perché c’è una sorpresa: a celebrarla è il vescovo Mosè Marcia. Una presenza improvvisata, inattesa ma molto apprezzata da tutti, in particolare dal priore dopo le polemiche dell’ultimo periodo. San Francesco ha così fatto un altro miracolo e quindi il banchetto di S’Arbure nel prossimo fine settimana sarà una grande festa, come da tradizione più vera.

L’attesa prima della messa è dedicata ai ricordi del cammino appena fatto. Riaffiorano i momenti più emozionanti del pellegrinaggio. La partenza tutti insieme, la discesa verso Marreri, l’arrivo alla prima croce, la sosta alla fine della strada asfaltata dopo aver costeggiato per qualche chilometro la 131dcn. Poi, il lungo percorso su sentieri impervi, rocciai resi quasi impraticabili dall’alluvione di novembre. Un cammino difficoltoso, con ripide salite fino al pianoro di “Sa tanca ’e tziu Moro” dove il maestrale fa sentire i suoi morsi gelidi. Un’altra discesa lungo tratturi appena accennati tra i muretti a secco fino alla salita durissima che porta alla “Girandola”.

Tre giri intorno alla croce e via verso il santuario, un puntino giallo sull’altra collina. Mentre risaliamo le ultime pietraie, il mio compagno di cammino (Giuseppe, il verduraio di piazza Crispi, al suo 35° pellegrinaggio) racconta la storia incredibile di “Cipolla”, Paolo Ladu, l’ultimo pellegrino che entra nel santuario portando lo stendardo di San Francesco, dopo aver fatto il lungo percorso a piedi nudi. Destinato a entrare nella leggenda del pellegrinaggio: i suoi piedi non sanguinano. Un altro miracolo di San Francesco.

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