La Nuova Sardegna

Nuoro

Deidda: «Solo studiando possiamo migliorare»

di Paolo Merlini
Luca Deidda
Luca Deidda

Parla l’economista nominato prorettore vicario dell’università di Sassari. Ha lasciato una cattedra alla Soas di Londra per venire a insegnare in Sardegna

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NUORO. Dalla Soas (School of Oriental and African Studies) di Londra all’Università di Sassari il salto non è cosa da poco, soprattutto se si è docenti a tempo indeterminato in uno tra i più importanti atenei del Regno Unito, e dunque del mondo. Eppure nel 2006 Luca Deidda l’ha fatto, per diventare docente associato di economia a Sassari. Professore ordinario dal 2011, lunedì scorso è stato nominato prorettore vicario, e mantiene la delega a Programmazione, bilancio, controllo e indicatori ministeriali dell’ateneo. Nuorese, 45 anni, a dispetto dell’aria un po’ da nerd, Deidda è quello che si dice un tipo di compagnia, e ha conservato molte amicizie nella sua città natale.

Che cosa l’ha riportata in Sardegna?

«Ho imparato sulla mia pelle che i sardi soffrono realmente di saudade. C'è questo filo di nostalgia che ci lega perennemente, a volte è anche un po’ maledetto perché quanto torni sei sempre ipercritico su ciò che conosci».

Lei ha bruciato le tappe, negli studi prima e nell’attività lavorativa poi. A Nuoro dove ha studiato?

«Mi sono diplomato all’istituto tecnico Chironi, sono un ragioniere perito programmatore. Quando lo dico, a molti sembra strano, ma invece si è rivelato un percorso utile per la mia formazione. Poi mi sono iscritto all’università di Pisa, economia e commercio alla Scuola Sant’Anna, dove mi sono laureato nel 1993 e in seguito ho conseguito un perfezionamento equivalente al dottorato di ricerca, nel 1997. Nel contempo ho frequentato un master alla London School of Economics e successivamente, sempre a Londra, ho ottenuto un Ph.D in economics alla Soas, nel 1999».

Un percorso di studi impegnativo e anche costoso, soprattutto per il perfezionamento in Inghilterra. È stato difficile?

«Ho avuto la fortuna di finanziarlo tutto con borse di studio, anche della Regione Sardegna. All'epoca c'erano programmi che erano precursori del master & back. Detto per inciso, personalmente preferisco la versione master a quella back. Mi spiego: bisogna andare fuori a confrontarsi, tenere a tutti i costi i giovani in Sardegna può non essere la cosa più intelligente da fare. È più interessante creare le condizioni perché le persone vengano qui, e dunque non parlo necessariamente soltanto di sardi. Fa piacere quando incontri persone che arrivano nell’isola perché hanno capito chi qui si possono fare cose che altrove non sono possibili. Tornando alle borse di studio, ci sono diverse possibilità legate al merito, soprattutto per chi studia in campo economico, penso agli istituti bancari. Bisogna guardarsi in giro perché le occasioni ci sono».

Quando ha cominciato a insegnare?

«Nel 1999, sempre a Londra, al dipartimento di economics della Queen Mary University of London. In seguito al dipartimento di financial and management studies della Soas, dove nel 2006, quando ho lasciato per fare rientro in Italia, avevo una posizione permanente.

Una volta a Sassari, nel 2011 è diventato professore ordinario. Ha bruciato un’altra tappa, considerato che a tutt’oggi i docenti ordinari sotto i quarant’anni in Italia sono appena 6 su circa tredicimila.

«Be’, di anni all'epoca ne avevo quarantuno... Ma eravamo molto pochi in realtà attorno a quell’età. È un’anomalia tutta italiana, in giro per il mondo ci sono tanti colleghi economisti ben più giovani che insegnano. Quando ho avuto il primo incarico a tempo determinato a Londra avevo 29 anni, ed ero già un po’ grandetto per gli standard di quel Paese».

Da economista si sente di suggerire una ricetta per lo sviluppo economico della sua terra?

«Dobbiamo fare meglio, in maniera contemporanea diciamo, le cose che sappiamo fare, e sono tantissime, penso prima di tutto all'agroalimentare. Poi l’ambiente, l'archeologia: disponiamo di tesori immensi che dovremmo sapere utilizzare. La globalizzazione dà grosse opportunità perché ti consente di vendere beni di nicchia a tutto il mondo, se sei in grado di farlo. Dobbiamo suscitare interesse. A mio avviso il futuro della Sardegna sta nell'abilità che avremo di riappropriarci della nostra cultura di essere cittadini del mondo, e i sardi lo sono sempre stati. Dobbiamo andare fuori per far conoscere ciò che sappiamo fare e ciò che la nostra isola ha da offrire di unico. Andare fuori per imparare come produrre meglio e valorizzare ciò che abbiamo. Attenzione: questo non vuol dire che non dobbiamo studiare in Sardegna. Le università sarde hanno ottimi percorsi internazionali grazie ai programmi Erasmus, per i quali siamo all’eccellenza. Si può essere cittadini del mondo senza lasciare l'isola: è una questione di propensione a confrontarsi con il mondo piuttosto che con il rione accanto».

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