La Nuova Sardegna

Nuoro

Taioli: «Il fucile? Ho paura, non dico chi me lo ha dato»

di Valeria Gianoglio
Taioli: «Il fucile? Ho paura, non dico chi me lo ha dato»

L’imputato parla dell’arma che lo inchioderebbe per l’omicidio di “Cisco” Chessa «L’ho usato solo per fare un attentato. Non dico altro: temo per i miei familiari»

16 giugno 2016
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NUORO. Dopo i primi interrogativi di preambolo, il pm Andrea Vacca lancia a bruciapelo la domanda delle domande al processo per l’omicidio di Francesco “Cisco” Chessa, ucciso a colpi di fucile il 18 maggio del 2005 a Orune: «Mi dica, signor Taioli: ma a lei, quel fucile, chi lo ha dato? Ce la vuole raccontare, la storia di questo fucile, visto che emerge che lo conosca molto bene?».

«Ho fatto un favore». T-shirt chiara, viso tranquillo almeno in apparenza, seduto sulla sedia riservata ai testimoni della corte d’assise, Sergio Taioli risponde tranquillo: «A me quel fucile mi è stato dato per fare un favore a questa persona per fare un attentato a Bruno Angius».

«E chi è questa persona?», il pm ci riprova. «Preferisco non dirlo – risponde lui – mi è stato dato il giorno dell’attentato. È una persona che conosco. Non so chi a lui aveva dato quel fucile, davvero non lo so». Qualche ora dopo, a uno dei suoi difensori, Gianluigi Mastio che gli fa una domanda specifica, Taioli spiega anche per quale motivo non abbia mai voluto rivelare quel nome. «Non posso rivelarlo – precisa – per paura. Potrebbero prendersela con la mia famiglia. Non avrei mai pensato che un mio amico mi avrebbe dato un fucile che era stato usato per un omicidio».

«Sapevo che era stato rubato». E sempre nell’udienza di ieri, a scavare sull’argomento-fucile, ci prova pure la parte civile: gli avvocati Michele Mannironi e Angela Nanni, che tutelano i familiari di Cisco Chessa. «Prima, signor Taioli, ha detto che quando le hanno consegnato quel fucile, eravate in due. Dov’è che siete andati a prenderlo?». «Preferisco non rispondere – replica l’imputato – sapevo che era stato rubato. Io lo dovevo usare per l’attentato e poi lo dovevo riconsegnare».

Il passamontagna e il Dna. Il fucile, dunque, è stato il grande protagonista di ieri all’udienza, in corte d’assise, per il delitto di Cisco Chessa. Si tratta dell’arma calibro 12, caricata a pallettoni, che il 28 giugno del 2005 era stata trovata a Sorgono a circa 800 metri dalla casa di Bruno Angius, vittima, tre giorni prima, di un attentato a colpi di fucile. Insieme a quel fucile, era stato trovato anche un passamontagna e su quel passamontagna erano state trovate le tracce di Dna di Sergio Taioli, che infatti, in seguito era stato condannato come autore di quell’attentato. Ma il punto è che una perizia balistica, nei mesi successivi, aveva stabilito che aveva stabilito che quel fucile era senza ombra di dubbio una delle armi che avevano esploso i pallettoni che avevano ucciso Cisco Chessa. E per questo motivo, Sergio Taioli, alla fine era stato indagato e finito a processo anche per il delitto di Orune.

«Me lo avevano prestato». Taioli, anche ieri mattina in corte d’assise, sottoponendosi all’esame delle parti, lo ha ribadito: «Quel fucile me l’hanno prestato il giorno dell’attentato e l’ho usato solo per l’attentato». Ma non ha voluto rivelare chi glielo aveva consegnato.

«È stato Vincenzo Porcu, il suo amico di Teti? O il suo amico Giovanni Arru?», ha provato a più riprese a chiedergli il pm. Ma Taioli ha continuato a trincerarsi dietro il silenzio. «Ho paura», ha continuato a ripetere senza aggiungere altro.

Depone la vittima. Ieri, in udienza, ha deposto anche lo stesso Bruno Angius, vittima dell’attentato a Sorgono dal quale poi erano partite le indagini che avrebbero coinvolto Taioli. Decisamente reticente all’inizio, rispondendo alle domande dell’avvocato Luigi Concas, solo sul finale, Angius si è sciolto e ha ammesso di aver indicato ai carabinieri il nome di Vincenzo Porcu di Teti, come colui che poteva avergli fatto l’attentato. «Ma sa che per quell’attentato invece è stato condannato Taioli? Ma non ha detto che eravate in buoni rapporti con Taioli», gli chiede l’avvocato di parte civile, Michele Mannironi. «Sì – risponde lui – so che erano amici con Vincenzo Porcu». Poco dopo, in udienza, viene sentita anche la moglie di Angius, Maria Antonietta Marongiu. «Con Taioli i rapporti erano buoni – ha spiegato la donna, rispondendo alle domande delle parti – con Vincenzo Porcu, invece, so che mio marito aveva avuto diversi dissapori».

La difesa rinuncia ai testi. Sul finale dell’udienza, poi, l’avvocato, insieme a Gianluigi Mastio, di Sergio Taioli, Luigi Concas, annuncia: «La difesa rinuncia a sentire tutti i testi restanti». Dopo la prima decina di testi sentiti ieri, infatti, ai legali dell’imputato ne restavano altri nove da sentire, ma proprio ieri hanno deciso di rinunciarci. La prossima udienza, dunque, il 20 luglio, sarà interlocutoria: in quella occasione i giudici della corte d’assise decideranno se ammettere la richiesta di sentire nuovi testi.

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