La Nuova Sardegna

Nuoro

Delitto Chessa, torna l’ombra della faida

di Valeria Gianoglio
Delitto Chessa, torna l’ombra della faida

Ultimi testi al processo in corte d’assise. Il pm Andrea Vacca cerca di ricostruire i legami degli orunesi oltre Tirreno

03 novembre 2016
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NUORO. «Il 18 settembre del 2005 – dice l’avvocato di parte civile, Angela Nanni, in aula davanti alla corte d’assise – pochi giorni dopo un altro omicidio di Orune, quello di Pasquale Monni, lei, nel corso di una conversazione telefonica intercettata dice che i suoi vicini di terreno erano “depressi” e che le avevano chiesto dov’era Giovanni Deiana Banniolu». Dopo diverse udienze e decine di testimoni sentiti in aula, al processo per l’omicidio dell’allevatore di Orune, Francesco “Cisco” Chessa, ucciso il 18 maggio del 2005 davanti all’ingresso della sua casa, attraverso una domanda della parte civile, per la seconda volta nell’arco di pochi mesi irrompe in aula lo spettro di un altro omicidio che ha segnato la storia più recente di Orune: è la morte del giovane Pasquale Monni, ammazzato nel settembre del 2005 da quattro colpi di fucile al termine di una festa di matrimonio in un ristorante di Bitti.

È di nuovo l’ombra pesante della faida che da anni insanguina il paese, a farsi largo, dunque, tra domande, testimonianze faticose, e un tripudio di “non so” e “non ricordo”. Attraverso i quesiti rivolti agli ultimi testi in corte d’assise, sia il pm Andrea Vacca, sia la parte civile rappresentata dagli avvocati Angela Nanni e Michele Mannironi, sembrano puntare dritto verso la ricerca di un presunto mandante che avrebbe commissionato l’omicidio all’attuale e unico imputato per l’omicidio Chessa: il giovane di Sorgono, Sergio Taioli, difeso dagli avvocati Luigi Concas e Gianluigi Mastio.

E quel mandante, secondo l’accusa, si nasconde tra le famiglie coinvolte nella faida di Orune. Sergio Taioli, dunque, in questo quadro, sarebbe soltanto l’esecutore materiale di un piano figlio degli odi laceranti della faida e che da anni vede contrapposti a Orune diversi gruppi familiari. Nell’udienza di ieri, dunque, sono stati sentiti gli ultimi due testimoni dell’intero processo: sono Antonio Marongiu, e il padre Giacomo, noto Mimmino. Entrambi originari di Ortueri, da tempo vivono in provincia di Pisa dove hanno una grossa azienda agricola e si occupano di vendere e acquistare bestiame, pecore e arieti in particolare. Nell’ambito dell’inchiesta sul delitto Chessa sarebbero stati due illustri sconosciuti se non fosse che sono stati intercettati in diverse occasioni nel 2005, a pochi mesi dal delitto di Cisco Chessa, mentre parlavano con l’orunese Giovanni Deiana, noto Banniolu. Quest’ultimo, come aveva ricordato il luogotenente dei carabinieri Piero Fancellu, era stato l’allevatore sul quale all’inizio si erano concentrate le indagini per l’omicidio Chessa. Quella pista, tuttavia, era caduta evidentemente per mancanza di indizi anche se è stata più volte ripercorsa durante il processo in corte d’assise che è giunto agli sgoccioli in queste ore in tribunale a Nuoro.

«Il 18 settembre del 2005 – ricorda il pm Andrea Vacca al teste Antonio Marongiu – in una conversazione telefonica che è stata intercettata, lei parla con Banniolu, e a un certo punto lei dice che i suoi vicini di terreno “sono tutti depressi” e che le chiedevano dove fosse Banniolu. Chi sono questi vicini?». «In quel periodo – risponde Marongiu – avevo il bestiame a Volterra, quindi i miei vicini erano i Zizi». «E perché dice che erano depressi?», insiste il pm. «Non ricordo, non so», risponde l’allevatore.

Secondo l’accusa, tuttavia, in quella intercettazione Marongiu si riferiva ad altri vicini di pascolo, tant’è che subito dopo il pm chiede al teste «Conosce Monni Pietro e Monni Mauro, tutti allevatori in Toscana in quel periodo?». Marongiu all’inizio risponde di no, ma poi aggiunge «So che stavano in provincia di Grosseto, ma non li conosco», risponde l’allevatore. Nell’ambito della faida, i Monni erano avversari dei Deiana e dello stesso Banniolu. Quei giorni di settembre del 2005 erano giorni caldi, sul fronte delle indagini sulla faida, perché a Bitti era stato ucciso un parente stretto di quei Monni del Grossetano: il giovane Pasquale. «Sa se i Monni del Grossetano sono nemici di Banniolu?», chiede il pm al teste. «Non lo so», risponde lui.

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