«Indizi poco gravi e precisi fratello e cognata assolti»
di Kety Sanna
Le motivazioni della sentenza del processo a carico di Nico Piras e Alice Flore La coppia era accusata dell’omicidio di Angelo Maria nelle campagne del paese
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LULA. «All’esito dell’istruttoria dibattimentale, la Corte non ritiene provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale degli imputati per i delitti loro ascritti, in quanto gli indizi raccolti a loro carico non ne dimostrano in maniera inequivocabile la colpevolezza». È quanto si legge nella parte conclusiva delle motivazioni della sentenza del processo per l’omicidio di Angelo Maria Piras, l’allevatore di Lula ucciso il 25 gennaio 2015, in località “Ughele”.
Per quel delitto sono stati processati e assolti per non aver commesso il fatto dai giudici della Corte d’assise (presidente Cannas), il fratello e la cognata della vittima, Nico Piras e Alice Flore, difesi dagli avvocati Angelo Manconi e Mario Lai.
Settantotto pagine in cui il giudice estensore, Antonella Useli Bacchitta, ripercorrendo i tratti salienti del processo (istruito nel corso di 8 udienze, con l’esame di diversi testimoni, la produzione di documenti, verbali e sentenze di altri procedimenti), ha esaminato gli elementi acquisiti nel corso del dibattimento, dalla ricostruzione dell’omicidio fino agli eventi che, per l’accusa, hanno rappresentato elementi di prova importanti a carico dei due imputati. Indizi che consistono nelle intercettazioni dei dialoghi e dei rumori, registrati dalla microspia installata sull’autovettura parcheggiata nel cortile dell’abitazione degli imputati, la notte prima del delitto; nel rinvenimento, in una casa diroccata vicino alla loro dimora, di un paio di scarpe aventi tracce biologiche di Nico Piras, di cui Alice Flore si sarebbe sbarazzata il giorno dell’omicidio, e nella conversazione del 15 febbraio 2015, tra gli imputati e l’amica Maria Grazia Deiana. A legare questi elementi il movente del delitto, consistente nei forti contrasti sussistenti tra la vittima e il fratello e, in particolare, nel litigio insorto tra i due il giorno antecedente l’omicidio.
Giovanni Maria Piras era stato ucciso da 4 o 5 colpi di fucile calibro 12 che lo avevano raggiunto prima al braccio destro e alla coscia, poi ad entrambe le ginocchia e in ultimo alla testa. Poche ore dopo il delitto, gli investigatori, consapevoli dei contrasti esistenti tra la vittima e il fratello, erano andati a cercarlo nella sua abitazione. Lo avevano trovato col viso tumefatto e la testa fasciata. Sottoposto allo “stub” che aveva dato esito negativo, aveva poi raccontato loro che il giorno prima, mentre si trovava nel podere di un compaesano, all’improvviso era sbucato il fratello Angelo Maria che impugnava un fucile e lo aveva aggredito. I due si erano picchiati malamente ma alla fine, si erano fermati a parlare. Da una parte Angelo Maria rivendicava la proprietà di una ruspa che aveva Nico, dall’altra, questi chiedeva al fratello maggiore la restituzione di una cucina che era sparita dall’agriturismo di famiglia.
I due fratelli si sarebbero poi dovuti rivedere l’indomani per chiarire. Ma proprio quel giorno, tra le 7 e le 8 di una fredda domenica d’inverno, Giovanni Maria era stato trovato morto. E sempre la mattina del 25 i carabinieri avevano intercettato alle 4.41 movimenti strani nella casa dei coniugi Piras-Flore. La microspia nell’auto dell’imputato aveva captato latrati di cani, Nico Piras che cercava di zittirli e Alice Flore che parlava di un maglione e di quattro “cose” che il marito avrebbe dovuto prendere e che, per chi ascoltava, erano cartucce per caricare il fucile, mentre per la difesa erano panini da dare in pasto agli animali. Ebbene, per la Corte queste frasi «non costituiscono un indizio grave e preciso poichè a causa della loro frammentarietà sono di difficile interpretazione». Sempre la microspia e il dispositivo Gps piazzato nell’auto degli imputato avevano registrano alle 8,14 di quella stessa mattina, lo spostamento di Alice Flore. Secondo l’accusa la donna si era fermata davanti a un casolare per buttare le scarpe che il marito aveva indossato per compiere il delitto; per la difesa, invece, l’auto dell’imputata non si era mai fermata in quel punto e le scarpe trovate con una traccia riconducibile a Nico Piras, non erano di sua proprietà. La Corte scrive, anche in questo caso, che «in mancanza di alcuna certezza in merito all’appartenenza al Piras e non essendo dimostrato che la Flore, la mattina del 25 gennaio abbia gettato dall’auto le scarpe, si deve ritenere che tale indizio sia privo di connotati di gravità e previsione».
Inoltre, secondo la tesi dell’accusa Nico Piras di ritorno dal carnevale di Ottana (qualche settimana dopo il delitto) avrebbe di fatto confessato l’omicidio del fratello mentre, parlando di un amico, Salvatore Marras che l’imputato considerava come un fratello, non si era trattenuto e aveva detto : «Vabbè già sai cosa ho fatto a mio fratello ma Bovore e un’altra cosa». In aula Piras aveva detto che si riferiva all’episodio in cui aveva ferito Giovanni Maria con un colpo di pistola. «In base a un rapido scambio di battute – scrive la Corte – è difficile affermare a quale fatto si riferisse l’imputato, appare poco plausibile che il Piras volesse riferirsi al delitto appena compiuto».
Per quel delitto sono stati processati e assolti per non aver commesso il fatto dai giudici della Corte d’assise (presidente Cannas), il fratello e la cognata della vittima, Nico Piras e Alice Flore, difesi dagli avvocati Angelo Manconi e Mario Lai.
Settantotto pagine in cui il giudice estensore, Antonella Useli Bacchitta, ripercorrendo i tratti salienti del processo (istruito nel corso di 8 udienze, con l’esame di diversi testimoni, la produzione di documenti, verbali e sentenze di altri procedimenti), ha esaminato gli elementi acquisiti nel corso del dibattimento, dalla ricostruzione dell’omicidio fino agli eventi che, per l’accusa, hanno rappresentato elementi di prova importanti a carico dei due imputati. Indizi che consistono nelle intercettazioni dei dialoghi e dei rumori, registrati dalla microspia installata sull’autovettura parcheggiata nel cortile dell’abitazione degli imputati, la notte prima del delitto; nel rinvenimento, in una casa diroccata vicino alla loro dimora, di un paio di scarpe aventi tracce biologiche di Nico Piras, di cui Alice Flore si sarebbe sbarazzata il giorno dell’omicidio, e nella conversazione del 15 febbraio 2015, tra gli imputati e l’amica Maria Grazia Deiana. A legare questi elementi il movente del delitto, consistente nei forti contrasti sussistenti tra la vittima e il fratello e, in particolare, nel litigio insorto tra i due il giorno antecedente l’omicidio.
Giovanni Maria Piras era stato ucciso da 4 o 5 colpi di fucile calibro 12 che lo avevano raggiunto prima al braccio destro e alla coscia, poi ad entrambe le ginocchia e in ultimo alla testa. Poche ore dopo il delitto, gli investigatori, consapevoli dei contrasti esistenti tra la vittima e il fratello, erano andati a cercarlo nella sua abitazione. Lo avevano trovato col viso tumefatto e la testa fasciata. Sottoposto allo “stub” che aveva dato esito negativo, aveva poi raccontato loro che il giorno prima, mentre si trovava nel podere di un compaesano, all’improvviso era sbucato il fratello Angelo Maria che impugnava un fucile e lo aveva aggredito. I due si erano picchiati malamente ma alla fine, si erano fermati a parlare. Da una parte Angelo Maria rivendicava la proprietà di una ruspa che aveva Nico, dall’altra, questi chiedeva al fratello maggiore la restituzione di una cucina che era sparita dall’agriturismo di famiglia.
I due fratelli si sarebbero poi dovuti rivedere l’indomani per chiarire. Ma proprio quel giorno, tra le 7 e le 8 di una fredda domenica d’inverno, Giovanni Maria era stato trovato morto. E sempre la mattina del 25 i carabinieri avevano intercettato alle 4.41 movimenti strani nella casa dei coniugi Piras-Flore. La microspia nell’auto dell’imputato aveva captato latrati di cani, Nico Piras che cercava di zittirli e Alice Flore che parlava di un maglione e di quattro “cose” che il marito avrebbe dovuto prendere e che, per chi ascoltava, erano cartucce per caricare il fucile, mentre per la difesa erano panini da dare in pasto agli animali. Ebbene, per la Corte queste frasi «non costituiscono un indizio grave e preciso poichè a causa della loro frammentarietà sono di difficile interpretazione». Sempre la microspia e il dispositivo Gps piazzato nell’auto degli imputato avevano registrano alle 8,14 di quella stessa mattina, lo spostamento di Alice Flore. Secondo l’accusa la donna si era fermata davanti a un casolare per buttare le scarpe che il marito aveva indossato per compiere il delitto; per la difesa, invece, l’auto dell’imputata non si era mai fermata in quel punto e le scarpe trovate con una traccia riconducibile a Nico Piras, non erano di sua proprietà. La Corte scrive, anche in questo caso, che «in mancanza di alcuna certezza in merito all’appartenenza al Piras e non essendo dimostrato che la Flore, la mattina del 25 gennaio abbia gettato dall’auto le scarpe, si deve ritenere che tale indizio sia privo di connotati di gravità e previsione».
Inoltre, secondo la tesi dell’accusa Nico Piras di ritorno dal carnevale di Ottana (qualche settimana dopo il delitto) avrebbe di fatto confessato l’omicidio del fratello mentre, parlando di un amico, Salvatore Marras che l’imputato considerava come un fratello, non si era trattenuto e aveva detto : «Vabbè già sai cosa ho fatto a mio fratello ma Bovore e un’altra cosa». In aula Piras aveva detto che si riferiva all’episodio in cui aveva ferito Giovanni Maria con un colpo di pistola. «In base a un rapido scambio di battute – scrive la Corte – è difficile affermare a quale fatto si riferisse l’imputato, appare poco plausibile che il Piras volesse riferirsi al delitto appena compiuto».