La Nuova Sardegna

Nuoro

Abusò della figlia della compagna: condannato a 9 anni a Nuoro

Kety Sanna
Abusò della figlia della compagna: condannato a 9 anni a Nuoro

Un 50enne di Bitti era accusato di atti sessuali con minore. La difesa: «Dura condanna per un processo senza prove»

24 luglio 2020
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NUORO. Si è chiuso con una condanna a nove anni di reclusione il processo per il 50enne di Bitti, accusato di atti sessuali con una minore. La lettura della sentenza, attesa per le 14,30 è arrivata due ore dopo. E se per la pubblica accusa, nel corso del dibattimento è stata più che provata la responsabile penale dell’imputato che avrebbe abusato della figlia della compagna, non lo è stata per la difesa che ieri mattina, in chiusura di arringa, ha chiesto al collegio presieduto dal giudice Giorgio Cannas, l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto. L’indagine che nel 2017 aveva portato all’arresto dell’uomo, era partita dal racconto della ragazza che solo una volta compiuti 17 anni aveva deciso di denunciare il compagno della madre. Quello stesso uomo che aveva accolto lei e i suoi fratelli come fossero figli suoi. L’allora bambina, appena 13enne, avrebbe subito le attenzioni morbose dell’uomo per ben quattro anni. Esattamente fino al suo arresto.

«Non ce la facevo più», aveva raccontato, disperata, prima di trovare rifugio, insieme agli altri fratelli in una casa di accoglienza. Sottoposta a incidente probatorio, la 17enne, come più volte rimarcato dalla difesa, avrebbe riportato circostanze poi non riscontrate oggettivamente. In aula erano state sentite anche alcune sue amiche, quelle con le quali si sarebbe confidata e che l’avrebbero spinta a denunciare. Era stato sentito il perito nominato dal giudice, che aveva esaminato la giovane ed escluso che avesse la tendenza a raccontare bugie. Inoltre, a sostegno del racconto della presunta vittima (che insieme al padre biologico si è costituita parte civile con gli avvocati Adriano Sollai e Roberto Argiolas), oltre alle visite mediche, anche il fatto, secondo il pm Bocciarelli, che non c’è stata prova di motivi che abbiano potuto spingerla ad accusare l’imputato di cose non vere.

«Abbiamo discusso sul deserto delle indagini, sulle contraddizioni della presunta vittima nel corso dell’incidente probatorio e sul fatto che per 6 anni, in una casa abitata da sette persone, nessuno si sarebbe accorto di quanto accadeva nella stanza accanto – hanno detto i difensori dell’imputato, gli avvocati Roberto Deledda e Gianluca Bella –. Addirittura la compagna del 50enne, e madre della ragazza, ha sempre creduto nell’innocenza dell’uomo, tanto da non costituirsi parte civile».

Un’arringa lunga e complessa nel corso della quale i due difensori si sono soffermati sull’incidente probatorio della ragazza, evidenziandone tutte le presunte criticità.

«Durante il processo abbiamo sempre tenuto un atteggiamento equilibrato e, per certi versi, anche inquisitorio nei confronti dell’imputato, chiedendo al collegio tutta una serie di approfondimenti, purtroppo, non sempre accolti. Ci siamo trovati davanti a un deserto di indagini – ha aggiunto la difesa – e in aula non è stato portato nulla a livello probatorio. Il contesto in cui si sarebbe consumato il reato non è un contesto ambiguo, bensì una casa in cui vivevano sette persone che, in sei lunghi anni, non si sarebbero accorte di nulla. Siamo esterrefatti davanti a questa sentenza – hanno concluso i due avvocati –. Ci troviamo davanti a un processo senza prove. Ora aspetteremo i 90 giorni per le motivazioni e poi faremo ricorso in Appello».

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