«Per Sella condanna a 10 anni»
di Kety Sanna
Tentato omicidio di Mamoiada, per accusa e parte civile provata la responsabilità dell’imputato
28 ottobre 2020
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NUORO. Come gli anelli di una tragica catena di odio e di sangue, legati da un movente personale, quello dell’onore. Ieri mattina al processo con rito abbreviato davanti al gup Claudio Cozzella, per il tentato omicidio di Antonio Deiana, avvenuto a Mamoiada il 3 gennaio 2016, il pm Andrea Ghironi ha chiesto una condanna a 10 anni (con lo sconto di un terzo della pena) per l’unico imputato, Albino Sella (difeso dall’avvocato Francesco Lai), fratello di Danilo, ammazzato nelle campagne del paese il 18 settembre 2008. Per quest’ultimo delitto era stato condannato a 18 anni Marcello Gungui, mentre Antonio Deiana a 1 anno e 8 mesi per favoreggiamento. Un verdetto che, secondo il pm, non avrebbe però soddisfatto la sete di vendetta di Albino che quel pomeriggio d’inverno di quattro anni fa, voleva vendicare la morte del fratello ucciso. Avrebbe pianificato tutto, appostandosi con un fucile a canne mozze in un terreno in uso alla famiglia che sovrasta una strada di penetrazione agraria, in località “Cusitzo”, e lì avrebbe atteso il passaggio di Deiana. Solo per un caso quel giorno Gungui non c’era. Un delitto premeditato, studiato nei dettagli per farsi giustizia. Lo stesso pubblico ministero, che in un primo momento aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, alla quale si era opposta la parte offesa attraverso l’avvocato Gianluigi Mastio, ritenendo accertati i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’imputato ieri ne ha chiesto la condanna. Alla base dell’impianto accusatorio, intercettazione ambientali ma anche immagini dell’impianto di videosorveglianza dell’azienda agricola dello zio, dove Albino Sella lavorava. A incastrare l’imputato, secondo accusa e parte civile, anche alcuni dialoghi durante un colloquio in carcere tra l’imputato e la madre. Il giovane avrebbe fatto riferimento a una felpa che avrebbe indossato il giorno del tentato omicidio e che la donna avrebbe dovuto far sparire. A lei avrebbe chiesto del deposito della perizia sul video dell’impianto installato nell’ovile dello zio, di quelle immagini che lo avrebbero ripreso e cristallizzato con indosso indumenti corrispondenti a quelli descritti, poi, dallo stesso Deiana che, scampato all’agguato, aveva raccontato ai carabinieri di aver visto lo sparatore, descrivendone l’arma impugnata e gli abiti indossati. Altro elemento che giocherebbe a svantaggio dell’imputato, il suo allontanamento per diverse ore dopo l’accaduto. Sella si era reso irreperibile fino alle 2.35 della notte. Lo aveva chiamato la madre per dirgli che i carabinieri erano andati a cercarlo proprio in riferimento al tentato omicidio. Sentito, poi, a sommarie informazioni aveva negato di essersi cambiato, così come di aver visto la vittima la mattina precedente. L’avvocato di parte civile nel corso della discussione ha ribadito che gli elementi raccolti, da subito consentivano di prospettare un coinvolgimento diretto dell’imputato, escludendo, invece, la responsabilità di altri suoi familiari. Dieci mesi dopo l’accaduto, inoltre, Sella era stato trovato in possesso di un fucile calibro 12 modificato, risultato essere l’arma usata per il tentato omicidio. Il classico caso, secondo la parte civile, in cui l’arma, alla luce degli elementi acquisiti, crea una presunzione di responsabilità del detentore.