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Nuoro

Covid, gli ambulanti del Nuorese: «Lasciateci lavorare, qui non è come a Milano»

Valeria Gianoglio
Covid, gli ambulanti del Nuorese: «Lasciateci lavorare, qui non è come a Milano»

Protesta per le restrizioni. «Le ordinanze sono troppe, ci stanno tagliando via e i “ristori” non sono efficaci»

23 novembre 2020
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NUORO. «Qui non siamo a Milano, qui gli assembramenti sono ben lontani dal crearsi persino in tempi normali, figurarsi in periodi difficili come questo, nel quale la gente esce di meno ed è preoccupata. Basti pensare ai giorni scorsi, al mercatino di Gavoi, o in tanti altri paesi. A volte è un verso deserto. E pensare che ci sono sindaci che, nonostante questa evidente assenza di assembramenti, stanno chiudendo pure noi. Per questo, dico, ci devono lasciar lavorare. Siamo circa 60, in provincia, e lavoriamo all’aria aperta e con tutte le precauzioni, e già questa è una cosa più sicura degli acquisti al chiuso, e rispettiamo tutte le precauzioni. Ci lascino lavorare o altrimenti per noi è la fine».

Roberto Stara, il commercio ambulante lo conosce da una vita, perché da tanti anni, oltre a girare per il Nuorese per proporre i suoi capi di abbigliamento ai clienti, è anche il responsabile provinciale di categoria dell’Anva-Confesercenti. Ne ha viste tante, insomma, ma, lo ripete sconsolato, «una fase come questa ancora non l’aveva toccata nessuno.

«Non bastava quello che abbiamo passato la scorsa primavera – spiega Stara – adesso, con questa seconda ondata di Covid, le nuove restrizioni stanno travolgendo anche chi, come noi ambulanti, fa un mestiere all’aperto e ben lontano dal creare assembramenti. E invece, nonostante questo, diversi sindaci del Nuorese e del resto della provincia, stanno chiudendo anche noi. Vedi Oliena, Orani, Silanus, Bosa, Dualchi. Io capisco le esigenze della salute pubblica, ci mancherebbe, e sono il primo a rispettare tutte le prescrizioni, ma chiudendo anche chi lavora all’aperto, e fa già i conti con il deserto, stanno dando il colpo di grazia a un settore che spesso è in difficoltà di suo. Ormai, quando si riesce a lavorare, in un giorno si fanno appena 10-12 scontrini. Altro che assembramenti, quelli veri si fanno al chiuso. Quindi non si capisce perché a chiudere dobbiamo essere noi. I problemi non si risolvono con le chiusure indiscriminate. Stiamo annaspando. Se restano aperti i negozi, perché i mercati ambulanti li si vuole chiudere?». E, come se le complicazioni non fossero già abbastanza, Stara racconta che dei vari “ristori” previsti dal governo, alla categoria sono arrivati 600 euro per i primi mesi: «Ma se a quei 600 euro si tolgono i 300 che bisogna versare all’Inps, i 100 euro più Iva per il commercialista, rimangono appena 200 euro, e capirai cosa ci si può fare. Una vera miseria. Altro che ristoro».

E la pensa alla stessa maniera anche il decano del commercio ambulante in provincia di Nuoro: Tonino Recanati. «Ho 78 anni – dice – e lavoro nel settore da quando ne avevo 14, con mio padre. Insomma, i conti sono presto fatti: mi occupo di bancarelle e vendite da una vita. E in tanto tempo non ho mai passato una fase difficile come questa. Ed è difficile perché è lo Stato che non ci sta dando una mano , e che sta solo mandando il messaggio “non uscite”, mentre invece dovrebbe consentire di lavorare a chi lavora all’aperto e con tutte le accortezze. Troppe ordinanze, invece, anche da noi in provincia, stanno chiudendo i mercatini. E non è giusto. Io, non mi lamento poi tanto perché ho sempre lavorato, sono riuscito a creare un qualcosa di buono, ho portato tanti dipendenti fino alla pensione, ma oggi, dico, il governo e i sindaci ci devono dare una mano. Perché è come che stiano dicendo che i piccoli devono morire, e che a spartirsi la torta debbano rimanere i grandi. Non è giusto. A Macomer, dove abito io e dove ho anche un negozio, diversi miei colleghi hanno dovuto chiudere. Bisogna fare qualcosa per invertire questa tendenza».

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