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Nuoro, «Chiedo che qualcuno dia una carezza a mamma malata di Covid»

Luca Urgu
Nuoro, «Chiedo che qualcuno dia una carezza a mamma malata di Covid»

Il racconto di una donna la cui madre, affetta da Alzheimer, ha contratto il Covid. «È a Cagliari, non ci fanno entrare. Speriamo che chi può le trasmetta affetto»

19 gennaio 2021
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NUORO. Che la mano di qualcun altro possa diventare la sua mano. E così la voce di altri la sua. Carezze e parole da affidare e da consegnare con amore ad un genitore che per le restrizioni del covid non può essere raggiunto e accudito in ospedale. Giusi Scanu, 39 anni, è una figlia che sa quanto una coccola, un gesto d'affetto può essere d’aiuto a sua madre. Oggi la sua mano si poggia con dolcezza sul viso del genitore solo con il pensiero. Le sue sono carezze ideali che è costretta con una preghiera, a delegare ad altri: a un medico che la cura, ad un’ infermiera che la assiste. Sua madre, Candida Uccheddu, 73 anni, non la vede dallo scorso mese di agosto. Cinque mesi di vuoto, di notizie frammentarie e di paure. La mamma già segnata da una forma particolarmente invalidante di Alzheimer, diagnostica sette anni fa, ha contratto recentemente il Covid. Così, è stata trasportata dalla struttura in cui risiedeva, al Pronto soccorso del Santissima Trinità di Cagliari, per curare una polmonite innescata dal virus che in questi mesi sta segnando così profondamente la vita di tutti.

«Dopo tre giorni di silenzio assoluto con i nostri tentativi senza successo di parlare con medici e infermieri parto per Cagliari disposta ad andare anche dalle forze dell’ordine per avere informazioni –, racconta Giusi Scanu, insegnante in un scuola di Nuoro –. Le notizie nel frattempo ci arrivano tramite conoscenti. Amici di amici che capiscono il nostro dramma e ci vengono incontro. Mi chiedo però se debba funzionare così. Non è giusto, non è una situazione da paese civile. In questo modo si aggiunge sofferenza ad altra sofferenza», dice Giusi nella sua casa di Nuoro, dove una Nikon sul tavolo e diverse istantanee rivelano la sua passione per la fotografia.

In una composizione ci sono alcuni scatti con i suoi genitori, un’immagine a cui attaccarsi per farsi forza nei momenti difficili come questi. «Capisco tutto, non c'è il tempo, il personale è quello che è e la situazione negli ospedali è disastrosa. Ma mia madre ha bisogno di stimoli e solo noi figli con un contatto, uno sguardo e una carezza riuscivamo ad ottenere dei risultati, dei piccoli e continui progressi. Eppure in alcune strutture sanitarie della penisola questo è possibile, è anche consentito abbracciarsi con le dovute cautele, recuperare quell’affettività a volte più efficace di qualsiasi farmaco». Solo dopo che ieri ha scritto una lettera sul suo profilo social in cui racconta con garbo il travaglio che sta vivendo ha notato un miglioramento nelle comunicazioni con l’ospedale dove è ricoverata sua mamma.

«Finalmente i medici ci hanno risposto. La situazione è grave, difficile, acuita da questo periodo di ospedalizzazione ma la polmonite contratta è stata debellata. Io non vedo mia madre da agosto, non la accarezzo e non poggio la mia testa tra le sue gambe da febbraio dell'anno scorso. Un anno che non sento il suo profumo se non quello dei suoi vestiti nell'armadio di casa», dice Giusi che rimarca il suo appello confidando nella sensibilità della gente.

«Chiedo all'amico dell'amico, al fratello, all'infermiere che ha un collega che lavora all'ospedale Marino e così via, di aiutare me, mie sorelle e mio fratello, a trovare qualcuno (infermieri del reparto C covid, oss) che si avvicini a mia madre una volta al giorno e che la accarezzi e le sussurri il nome dei suoi figli. Chiedo di parlarle. Parlarle con il cuore».

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