La Nuova Sardegna

Nuoro

«Morte causata dal guardrail»

di Kety Sanna
«Morte causata dal guardrail»

Processo a tre dell’Anas per la fine del carabiniere Gianfranco Fae sulla 129. In aula il medico legale

24 aprile 2021
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NUORO. Per l’anatomopatologo Vindice Mingioni, sentito al processo a carico di tre funzionari dell’Anas accusati di omicidio stradale e cooperazione nel delitto colposo per la morte di Gianfranco Fae, il carabiniere 50enne di Bono deceduto nel dicembre 2017 lungo la statale 129, vicino a Oniferi, non ci sono dubbi: a causare la morte del militare erano state le ferite provocate dal guardrail che lo aveva trafitto. «Ero stato incarico dalla Procura di svolgere accertamenti anatomopatologici sul corpo di Fae. Il cadavere era stato riesumato e da tutti i dettagli era emerso che a causarne la morte era stata un’azione contundente, sia dalla modalità riportate dalle foto, sia dall’entità delle fratture e delle lesioni plurime ed estese dell’area maxillo-facciale. Non ho rilevato altre lesioni, anche legate al sinistro, che potessero aver concorso nel decesso. Non ne ho rilevato né spontanee, né traumatiche». L’udienza è proseguita poi con l’audizione dell’unico testimone oculare dell’incidente, un giovane di Mamoiada, Samuele Mele che quel pomeriggio percorreva con la sua auto la Statale 129, seguito da quella di Fae. «Avevo superato da poco S’Infurcau – ha detto il teste –. Dietro di me c’era una macchina scura che andava alla mia stessa velocità. All’improvviso dallo specchietto mi ero accorto che l’auto era finita fuori strada. Non avevo incrociato altre vetture, né animali. Mi ero accostato ed ero sceso per prestare soccorso». I tre imputati, Siro Mascia capo nucleo manutenzioni dell’Anas, Pierpaolo Ruggeri capo centro manutenzioni e Giovanni Satta capo cantoniere (difesi dagli avvocati Andrea Pogliano, Matteo Pinna e Maria Francesca Fenu), devono rispondere davanti al giudice di omessa manutenzione della rete stradale. Ieri, come ultimo teste, è stato sentito Paolo Marcialis, consulente tecnico della parte civile, rappresentata dall’avvocato Gianluigi Mastio che tutela gli interessi della moglie, dei genitori e del fratello del carabiniere morto. «Ero stato incaricato di esaminare il fascicolo giudiziario dopo il completamento delle indagini preliminari – ha detto l’ingegnere –. Ho condiviso le valutazioni del consulente della Procura (pm Manuela Porcu) sul fatto che se non ci fosse stato il varco, e il guardrail fosse stato continuo, l’incidente avrebbe potuto avere effetti diversi. Le barriere – ha aggiunto – sono catalogabili in funzione del livello di energia che sono in grado di sottostare in base alla velocità del veicolo e all’angolazione dell’urto che in questo caso era minima. La vettura ha avuto un primo impatto all’estremità iniziale del varco, poi nella successiva che ha causato l’ingresso della barriera di ferro nell’abitacolo. Se non ci fosse stato il varco l’auto non avrebbe potuto abbattere il guardrail con quella angolazione e a quella velocità. Dopo l’urto, la macchina sarebbe stata reindirizzata dalla barriera e avrebbe perso velocità. Il passaggio, inoltre, non era segnalato e i terminali presenti alle estremità, non rispettavano gli standard di sicurezza». Il giudice Angelicchio ha chiesto al consulente se la presenza del varco potesse sfuggire alla manutenzione della strada. «No – ha detto Marcialis – l’apertura di un accesso necessita di una valutazione dell’Ente stradale».

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