festival dei tacchi
Da Jerzu ad Orotelli con il teatro sulle orme di Salvatore Cambosu
di Claudia Carta
JERZU. A Jerzu è già Festival dei Tacchi. Qui il teatro si respira nelle piazze, nei vicoli del centro storico, fra i balconi delle case, in mezzo alla gente. Sì, perché da sempre uno dei...
24 giugno 2021
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JERZU. A Jerzu è già Festival dei Tacchi. Qui il teatro si respira nelle piazze, nei vicoli del centro storico, fra i balconi delle case, in mezzo alla gente. Sì, perché da sempre uno dei fondamentali della rassegna culturale – che da oltre vent’anni ha fatto del capoluogo del Cannonau il suo naturale palcoscenico – è il contatto con la comunità, cercato, voluto, concreto. Teatro per tutti. Teatro di tutti. Domani, nei locali della Biblioteca comunale di via Businco a Jerzu, verrà presentato il primo laboratorio dell’edizione 2021 del Festival. In sala di regia, con l’esperienza e la sensibilità artistica che li contraddistingue, attori e registi che sono l’anima stessa del Cada Die Teatro, come Pierpaolo Piludu e Mauro Mou, insieme a Lara Farci e Francesca Pani. Saranno loro a guidare tutti coloro che vorranno prendere parte a questa avventura lunga dodici incontri, a partire da giugno e fino alle date programmate del Festival (dal 3 al 10 agosto). Gratuito, come sempre. Aperto a tutti, come sempre. E già lo aveva anticipato il direttore artistico dell’impresa di produzione teatrale cagliaritana nata nel 1982, Giancarlo Biffi, che questa sarebbe stata la filosofia della nuova stagione: dare più opportunità, cercare di impiegare più persone. «Avremo più spettacoli – ha sottolineato Biffi –, più occasioni di incontro. Il format dunque, pur nella continuità, sarà ancora più ricco, con tre laboratori, uno per i residenti di Jerzu, uno per i ragazzi e quello curato e diretto da Andrea Pennacchi per gli attori». Il primo laboratorio è quindi ai nastri di partenza e sarà dedicato e realizzato con la comunità: donne, uomini, ragazzi, con esiti che hanno sempre raccolto il plauso del pubblico. Il titolo? Significativo quanto impegnativo: “Miele amaro” di Salvatore Cambosu. Monumentale. Impareggiabile. Quel miele amaro che le api producono dopo aver visitato i fiori del corbezzolo. Le stesse che sanno vivere in comunità. Che dalla terra vengono e alla terra tornano lasciando il loro frutto. La terra. Il lavoro dei campi. Greggi e armenti. Cultura contadina che rimanda, quasi a sembrare immobile, al retaggio culturale di una terra, la Sardegna, tra fatica del lavoro e durezza dei tempi. E quel mare che tutto racchiude, tutto costringe, tutto delimita e tutto lascia lontano. Un laboratorio che sarà ancora una volta incontro con l’arte e con l’altro, allenamento ed esercizio alla vita comunitaria, dimensione privilegiata per aprire gli orizzonti e accogliere tutto ciò che è nuovo. «Un progetto, quello del Festival – ha ribadito il sindaco di Jerzu, Carlo Lai – al quale stiamo lavorando strenuamente da ottobre. Ripensare la ripartenza del nostro paese, anche dal questo punto di vista, nel rispetto totale delle disposizioni sanitarie e di prevenzione, è qualcosa che ci sta a cuore. E che oggi non ci trova affatto impreparati».