La Nuova Sardegna

Nuoro

«Lavori realizzati dopo la rapina»

«Lavori realizzati dopo la rapina»

Sequestro lampo di Orosei, il pm smonta la tesi del teste della difesa che scagiona uno degli imputati

27 novembre 2021
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NUORO. I lavori di costruzione dell’abitazione di Salvatore Cao, il bororese che sentito come teste al processo per il sequestro lampo e la rapina alla Banca Intesa di Orosei, avvenuti il 3 ottobre 2007, aveva fornito un alibi all’imputato Graziano Pinna (difeso dall’avvocato Aurelio Schintu), accusato di essere uno degli autori, ieri sono stati al centro dell’udienza in Corte d’assise (presidente Giorgio Cannas a latere Alessandra Ponti). Secondo quanto dichiarato da Cao, l’imputato nei giorni in qui si erano verificati i fatti, stava svolgendo dei lavori per suo conto nella casa in costruzione in via Tirso a Borore. Ossia, sarebbe stato impegnato a trasportare pietre di trachite da Tresnuraghes, da utilizzare per la realizzazione di un vespaio per ostacolare la risalita dell’umidità. Lavori, però, che secondo il pubblico ministero della Dda di Cagliari, Gilberto Ganassi, sarebbero stati realizzati in un momento successivo a quello della rapina. A confermarlo i testi dell’accusa. A iniziare dal brigadiere dei carabinieri, Giovanni Maria Vargiu, che ha acquisito immagini aerofotogrammetriche attraverso le quali era stato possibile verificare lo stato dei lavori in un determinato periodo, documentato anche dalle concessioni edilizie rilasciate dal Comune alla prima proprietaria della casa di via Tirso, e successivamente al nuovo acquirente, Salvatore Cao, che nel luglio 2008 aveva presentato richiesta di variante, allegando alla stessa delle immagini. Non solo, ieri in aula sono stati chiamati a deporre due vicini di casa di Salvatore Cao: Angelo Sanna e Mauro Pili, che hanno dichiarato di non aver visto il trasporto delle pietre per la realizzazione del dreno nella casa del vicino. A cristallizzare il momento, e lo stato di avanzamento dell’opera nella casa di via Tirso a Borore, ci ha pensato anche il consulente dell’accusa, Maria Cristina Onnis, chiamata a descrivere l’immobile il cui primo progetto di realizzazione risaliva al 2004, quando era ancora proprietaria la signora Angioni. «Successivamente – ha detto l’ingegnere – nel 2006 la proprietà era passata al signor Cao che aveva presentato variante di progetto il 4 aprile 2008, per la realizzazione di un vespaio. Il progetto prevedeva la realizzazione di un’opera che nel 2008 ancora non c’era».

L’obiettivo del pm si è poi spostato sullo stato patrimoniale dell’altro imputato, Giovanni Sanna, difeso dall’avvocato Desolina Farris. È stato chiamato a deporre il luogotenente della Guardia di finanza Pietro Minopoli che ha ricostruito la situazione finanziaria del nucleo familiare a cui apparteneva l’imputato. Le indagini relative al periodo dal 2006 al 2009, avevano evidenziato una sofferenza bancaria generale con un debito fondiario nei confronti delle banche di 150mila euro. «Tra le curiosità, dall’analisi dei conti correnti è emerso che Giovanni Sanna il 9 ottobre 2007 aveva pagato due rate di oltre 2mila euro a due banche diverse (Banca nuova terra e Banca Intesa), a fronte di un finanziamento di circa 70mila euro per l’acquisto di una terra. Il pagamento era avvenuto tramite il versamento in contante di 7.200 euro. Non c’è alcun documento che attesti il movimento di denaro da altri conti». La difesa dell’imputato ha chiesto se risultassero i contributi che Sanna aveva ottenuto da Argea nel periodo, e se fossero indicati in dichiarazione dei redditi. «Si, risultano – ha detto Minopoli – ma Sanna nel 2007 aveva dichiarato redditi pari a zero, mentre per il 2008 la dichiarazione era assente». L’udienza si è chiusa con la deposizione delle figlie di Margherita Soro, proprietaria della cartoleria che due giorni prima del sequestro lampo di Orosei aveva subito una tentata rapina. Le ragazze hanno raccontato dell’arrivo nel negozio di due uomini col volto coperto, uno aveva una pistola, che volevano soldi al padre. «Avevano tentato di portare via la cassa ma mia sorella si era aggrappata e li aveva fatti scappare – ha raccontato Paola –. Li avevo seguiti: erano saliti su un’auto grigia e avevano percorso la strada contromano». (k.s.)

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