La Nuova Sardegna

LANUSEI. La morte del poliziotto Paolo Sedda, rimasto imprigionato nella risorgiva di Cala Luna, è stata una tragica fatalità. Una circostanza già prospettata dalla Procura di Lanusei che, dopo aver avuto un ulteriore riscontro dalla relazione dei sommozzatori dei vigili del fuoco da cui risulta l’assoluta accidentalità del fatto, senza possibilità di individuare elementi di colpa a carico di nessuno, si appresta ad archiviare l’inchiesta avviata per accertare cosa fosse accaduto il 15 luglio nelle acque ogliastrine. Il 48enne originario di Gavoi perse la vita dopo essersi immerso con un compagno, entrambi partiti con altri appassionati dal centro diving di Cala Gonone per esplorare la grotta che arriva ad una profondità di 40 metri e si sviluppa per 500 metri.

Sempre in quel budello sottomarino, secondo la prima ricostruzione del titolare dell’inchiesta, il pubblico ministero Gualtiero Battisti, poi confermata dagli esiti degli accertamenti dei vigili del fuoco, Sedda inteso con il suo accompagnatore che, a gesti, mostrò l’intenzione di tornare indietro. A quel punto non riuscendo a capire dove fosse finito l’altro sub, il poliziotto perse l’orientamento sino al tragico epilogo: la morte per annegamento. L’esperto subacqueo venne trovato a 120 metri dall’ingresso della grotta che fa parte di un articolato sistema carsico ad opera del Nucleo sommozzatori del corpo arrivati da Cagliari e persino da Napoli e Vicenza che si immersero diverse volte nella grotta di Ilune dapprima per cercare Sedda, quindi per recuperare il suo corpo ed infine per riportare in superficie la strumentazione.