La Nuova Sardegna

Nuoro

Borore, sindaco diffamato con i post su Facebook

di Enrico Carta
Borore, sindaco diffamato con i post su Facebook

Condannato un compaesano che scrisse diversi post contro Salvatore Ghisu La pena è di 700 euro, ma ora rischia un pesante risarcimento nella causa civile

09 febbraio 2022
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BORORE. Li chiamano leoni da tastiera. Chissà se Antonino Manca, 66 anni originario di Fordongianus e residente per molto tempo a Borore prima di trasferirsi negli Stati Uniti, fa parte di quel gruppo. Di sicuro, la fretta di tirare le conclusioni prima ancora che i processi si concludano gli ha giocato un brutto scherzo. La giudice monocratica Serena Corrias l’ha infatti condannato per diffamazione nei confronti del sindaco Salvatore Ghisu.

Le frasi offensive e infarcite di epiteti tutt’altro che gradevoli e graditi le aveva scritte su Facebook all’indomani della custodia cautelare ai domiciliari emessa nei confronti del sindaco, coinvolto nell’indagine Hazzard per una serie di presunti e casi di malaffare nell’assegnazione di lavori pubblici e incarichi di progettazione che riguardavano proprio il Comune di Borore.

Era il 2015 e l’inchiesta era ai suoi albori. Ancora non si è arrivati alla sentenza e il caso giudiziario che coinvolge Salvatore Ghisu è alquanto controverso in alcuni suoi aspetti, ma già dal primo momento c’era chi tirò le conclusioni. Su un post nella sua bacheca, Antonino Manca scrisse del sindaco frasi come «ladro di polli del Marghine», per poi lasciarsi andare a insulti e accuse assai più pesanti e senza alcun riscontro. Di fronte a quelle frasi, scritte peraltro da New York, dove l’imputato vive da tempo, Salvatore Ghisu sporse immediata querela. Da lì nacque il processo che si è concluso ieri, per il quale è arrivata la condanna a 700 euro di multa, al pagamento delle spese processuali di 2.400 euro in favore della parte offesa. Il sindaco si era infatti costituito parte civile attraverso l’avvocato Gianfranco Siuni, il quale ora lo assisterà anche nella causa che verrà intentata per stabilire l’entità del risarcimento danni che spetta al primo cittadino diffamato.

Invano la difesa, affidata all’avvocato Antonio Secci, ha chiesto l’assoluzione sostenendo che non vi fosse la possibilità di risalire con certezza al computer e, di conseguenza, all’autore delle frasi scritte sul social network. Sarebbe servito un documento dagli Stati Uniti che non ha mai fatto parte degli atti del processo. Tra la documentazione a sostegno dell’accusa c’erano invece le schermate col testo dei post diffamatori che l’avvocato di parte civile aveva prodotto sin dal momento in cui presentò la querela. Le motivazioni della sentenza, che arriveranno in 90 giorni, chiariranno ancora meglio i contorni della vicenda. Quella giudiziaria potrebbe non concludersi qui, perché l’appello dell’imputato appare scontato.

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