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Tragedia in piscina, il processo a Nuoro: «Il mio Richard nuotava benissimo»

Kety Sanna
Tragedia in piscina, il processo a Nuoro: «Il mio Richard nuotava benissimo»

Celia Herrera ha ripercorso in aula i drammatici momenti della morte del figlio nell'impianto del residence “Gli Ulivi” di Orosei

24 aprile 2022
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NUORO. «Richard sapeva nuotare molto bene. Ero tranquilla anche perché in quella piscina il bambino c’era stato tante volte». A poche ore dalla tragedia Celia Nieto Herrera era stata iscritta nel registro degli indagati per omessa custodia del figlio. Poi il gip, alla luce di quanto era emerso, aveva archiviato la sua posizione. Mamma Celia, ora è sempre vestita a lutto. L’unico macchia di colore sugli abiti che indossa è un medaglione con la faccia sorridente del suo Richard. La stessa faccia buffa e vispa che per giorni, dal 2 settembre 2018, era apparsa su tutti i quotidiani e i Tg regionali che avevano raccontato nel dettaglio la tragedia. Richard Mulas aveva appena 7 anni quando era morto annegato nella piscina del residence “Gli Ulivi” in via del Mare, a Orosei, perché era rimasto incastrato con la manina in un bocchettone, privo della griglia di protezione. Ieri è toccato proprio alla mamma del bambino ripercorrere i momenti drammatici di quella mattina di settembre, davanti al giudice Giovanni Angelicchio, al processo per omicidio colposo che vede imputati Alessandra Gusai e Sergio Appeddu (difesi dagli avvocati Basilio Brodu e Adriana Brundu), proprietaria e amministratore della struttura alberghiera, dove la donna aveva lavorato fino al giorno della tragedia.

Celia Herrera (parte civile con gli avvocati Francesco Lai e Piera Pittalis), ha cominciato la sua deposizione non riuscendo a nascondere l’emozione. Pochi attimi, poi si è ricomposta, rispondendo alle domande del pm Riccardo Belfiori. «Quella mattina Richard non era voluto andare al mare con la nonna, perché voleva stare con me. Da una bancarella avevamo acquistato una palla che, però, era rimasta in macchina. Sapeva che se l’avesse usata in piscina si sarebbe rovinata. Avevamo fatto alcune commissioni prima di arrivare al residence. Quel giorno – ha detto Herrera – il bambino non aveva l’abbigliamento giusto, ma voleva giocare in acqua come tante volte aveva fatto, anche con altri bambini, non sempre ospiti della struttura. Si era tuffato con le mutandine, aveva pinne e maschera. Lui sapeva nuotare, frequentava anche un corso qui in città. Era in acqua mentre io sistemavo le stanze al primo piano, riuscivo a vederlo dalla veranda. Poi all’improvviso, Valeria, la mia collega, mi aveva detto che Richard era in difficoltà. Mi ero affacciata – ha continuato la donna concedendosi una piccola pausa per ritrovare il respiro – e avevo visto il bambino in fondo alla vasca, e degli uomini che si erano tuffati per cercare di tirarlo fuori».

Mamma Celia ancora vive le sequenze drammatiche di quella mattina: il corpicino del figlio sul fondo della piscina, un uomo che entrava e usciva nel disperato tentativo di salvarlo; una donna che porgeva il coltello, usato, per sbloccare la manina del piccolo, rimasta incastrata all’interno di un bocchettone aspirante; e poi lei, a bordo vasca, impotente e in preda alla disperazione. Il dolore di allora è lo stesso di oggi. Il racconto in aula è poi proseguito con un elenco di particolari: la piscina del residence mai vista vuota; la fontana collegata all’impianto della vasca che al momento della tragedia era in funzione; il fatto che la manutenzione venisse fatta in modo alternato, una volta dal proprietario de “Gli Ulivi” e la successiva dal gestore del “Rifugio”, Mathias Winkler, già giudicato con rito abbreviato, e condannato a 5 mesi e 10 giorni. Per Celia Herrera il 2 settembre 2018 aveva segnato anche la fine del lavoro. «Sergio Appeddu mi aveva detto che il nostro rapporto finiva lì, perché mio marito lo stava accoltellando alle spalle visto che aveva partecipato alle operazioni peritali (nel gennaio 2019 era stato disposto l’incidente probatorio ndr). Avevo restituito le chiavi del residence». E alla domanda del pm se avesse mai chiesto spiegazioni ad Appeddu sulla tragedia, la donna ha risposto: «Non ho mai chiesto nulla perché non serviva a ridarmi mio figlio». I difensori degli imputati hanno domandato alla teste se sapesse che la piscina non era vigilata. «Sì, lo sapevo» ha risposto Celia. E perché non si è preoccupata di lasciare da solo suo figlio? Hanno aggiunto. «Richard nuotava benissimo – ha risposto la donna – e per me non c’era pericolo. Non ero però a conoscenza che la piscina fosse in quelle condizioni».

Il processo è proseguito con l’audizione di Salvatore Mulas, marito di Herrera, che quel 2 settembre era giunto al residence quando gli operatori del 118 stavano tentato di rianimare il bimbo. Aveva chiesto qualcosa per capire cos’era successo? Aveva parlato con Appeddu? ha chiesto il pm. «Con lui avevo parlato prima del funerale – ha detto il teste – mi disse che il bocchettone della piscina era di scarico e non poteva aspirare. Forse stava cercando di dirmi che non c’era pericolo». Quando il giorno della tragedia era arrivato, si era reso conto che nella vasca mancava qualcosa? Ha aggiunto il pm. «Sì – ha risposto Mulas – guardando con attenzione avevo notato mancava che la griglia». Il processo riprenderà l’ 8 luglio.

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