La Nuova Sardegna

Nuoro

L’indagine

«Sequestro e rapina a Orosei: condannateli a 25 anni»

di Valeria Gianoglio
«Sequestro e rapina a Orosei: condannateli a 25 anni»

Le due richieste finali da parte del pm della Dda, Ganassi, al processo in Corte d’assise per i fatti del 2007

17 gennaio 2024
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Nuoro «Al di là delle posizioni dei singoli, il valore importante di un processo di questo genere è che anche a distanza di 17 anni, si è chiamati a rispondere di quello che si è fatto, e un grave reato non viene lasciato impunito. Questo è importantissimo da un punto di vista sociale, e il processo ha anche questa dimensione, non solo quella individuale. Anche dopo 17 anni, dunque, determinati reati vengono accertati e perseguiti». Prima di arrivare alla richiesta finale di 25 anni di carcere per ognuno dei due imputati, incastrati, secondo l’accusa anche dall’utilizzo di un soprannome come “Caporà”, e dalla improvvisa capacità di contanti – «quando fino al giorno prima Giovanni Sanna era pieno di debiti, aveva appena 5 euro in tasca e non riusciva nemmeno a pagare il calzolaio» – il pm della Dda, Gilberto Ganassi, parte da una premessa base, all’esordio della sua requisitoria nel processo per il sequestro lampo “a scopo di estorsione” dell’allora direttore del banca Intesa di Orosei, Gian Paolo Cosseddu, e della moglie, Pietrina Secce. Poche parole davanti alla corte d’assise di Nuoro presieduta dal giudice Giorgio Cannas, che più che nei codici e nel diritto, affondano le loro radici nella società e in ciò che in essa rappresenta una vicenda giudiziaria del genere. E poi, la pubblica accusa, si addentra nella ricostruzione di un’indagine dei carabinieri che definisce “esemplare” insieme al lavoro scrupoloso compiuto in particolare dai luogotenenti Walter Proia, al quale dedica un ricordo iniziale sentito, e al collega Antonio Tilocca. Tanto da aver ricostruito un castello di prove indiziarie solido, fatto di tasselli che testimoniano “al di là di ogni ragionevole dubbio” che la sera del 3 ottobre 2007 , a fare irruzione nella casa della coppia a Galtellì, fossero stati gli attuali imputati: Graziano Pinna, 42 anni, di Nuoro, difeso dall’avvocata Maria Luisa Vernier, e Giovanni Sanna noto Fracassu, 52 anni, di Macomer, difeso dall’avvocata Desolina Farris.

Cosa, secondo il pm, li abbia inchiodati alle loro responsabilità, e al bottino finale di 45mila euro, è stato, dunque, frutto di un’inchiesta certosina. Fatta di intercettazioni, dati incrociati, testimonianze vere e a volte fuorvianti, ma anche fiuto investigativo d’altri tempi, aiutato da un’altra inchiesta in parte concomitante: quella per il sequestro di Titti Pinna. Vicenda per la quale, peraltro, Sanna “Fracassu” è stato condannato, anche se con sentenza non definitiva. Diversi, i capisaldi dell’accusa. A cominciare dalle testimonianze della coppia che dopo essere rimasta in balìa dei sequestratori per tutta una notte in casa, l’indomani all’alba era stata costretta a salire nell’auto con i due rapinatori e in seguito ne avrebbe descritto con cura le fattezze e persino alcuni modi di dire. Come quel termine “Caporà” con il quale uno dei due rapinatori – poi identificato con Pinna – chiamava quello che è considerato il terzo complice e apripista Pier Paolo Serra. Poi ucciso, quest’ultimo, un annetto dopo. E quello stesso termine – “Caporà” – ritorna poi in alcune intercettazioni nelle quali parla sempre Pinna. Altro elemento cardine per l’accusa è proprio Serra: perché era suo, il fuoristrada Pajero inquadrato dalle telecamere per 12 volte la mattina della rapina a Orosei. E Serra quel giorno era lì: lo dicono i tabulati, spiega l’accusa.

E sempre grazie alle intercettazioni post rapina – quando ormai il cerchio si era stretto attorno a un gruppetto di sospetti – i carabinieri erano riusciti a sventare un’altra rapina in banca, a una filiale di Nuoro, in via Gramsci. «Seguiamo in presa diretta il progetto di assaltare il Banco di Sardegna di via Gramsci a Nuoro nell’estate del 2008 – spiega il pm Ganassi – Ne parlano Serra, Pinna e Gaddone. Un progetto come quello che i due avevano messo a segno mesi prima a Orosei. Per evitare che lo mettessero in atto abbiamo fatto saltare il tavolo: i carabinieri hanno perquisito l’ovile di Pinna e hanno trovato passamontagna che conteneva lo stesso Dna recuperato da una rapina a Paulilatino, E ricetrasmittenti». Quanto alla posizione di Sanna “Fracassu”, dice l’accusa, a inguaiare quest’ultimo sono state anche le spese in contanti fatte dopo la rapina. «Dalla banca settimane prima lo avevano sollecitato a versare sul suo conto perché c’erano rate non pagate – ha ricordato l’accusa – e lui allora aveva detto che li avrebbe potuti versare a metà ottobre. Cosa che poi effettivamente aveva fatto. Erano dopo la rapina a Orosei. E sempre dopo è riuscito anche ad acquistare un’auto pagandola in contanti, quando prima non aveva nemmeno i soldi per pagare il calzolaio». Il 26 febbraio cominceranno le arringhe.

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