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Tribunale

«Protezione civile, troppe falle: dopo il ciclone Cleopatra cambiò tutto»

di Valeria Gianoglio
«Protezione civile, troppe falle: dopo il ciclone Cleopatra cambiò tutto»

Nuoro, al processo Oloè parlano i consulenti della difesa: “Nel 2013 non funzionò il sistema”

13 febbraio 2024
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Nuoro Sono stati accusati, a vario titolo, di non aver attivato la fase operativa degli interventi per contrastare il ciclone Cleopatra. E in particolare di non aver attivato il presidio dei punti critici, sin dalla sera prima dell’avviso di allerta, ovvero dal 17 novembre del 2013, poche ore prima della tragedia che poi avrebbe provocato due morti e il crollo di un tratto di strada che conduce al ponte di Oloè. Ma in base alle regole dell’epoca, hanno spiegato ieri in tribunale alcuni consulenti della difesa, gli attuali imputati non avrebbero dovuto attivare quella fase specifica, perché lo stato di pre-allarme non era stato dichiarato, visto che non esisteva nemmeno il soggetto che avrebbe dovuto dichiararlo. Mancava, infatti, il cosiddetto Centro funzionale decentrato. Nel 2013, in Sardegna, non esisteva, hanno spiegato ieri in aula davanti al giudice monocratico Elena Meloni, Elvezio Galanti e Francesco Cipolla, consulenti nominati dagli avvocati Francesco Lai, Marcello Mereu, Massimo Ledda, Guido Manca Bitti, che tutelano Gavino Diana, Paolo Botti, Maria Lucia Fraghì, Paolo Marras e Carlo Masnata. E dalla loro relazione accurata emerge in modo deciso che nel campo della Protezione civile in Sardegna quello del 2013 fosse un sistema che presentava diverse falle e un mancato coordinamento regionale.

Qualche esempio? I consulenti della difesa li hanno fatti attraverso le slide: non esisteva un programma di previsione e prevenzione regionale, non esistevano linee guida regionali, nessun manuale operativo, nessuno piano di Protezione civile regionale, e nemmeno un accordo di programma tra Regione Prefettura e Provincia per governare il complesso sistema della Protezione civile. Alla vigilia del ciclone, dunque, «mancavano gli strumenti normativi regionali per elaborare la pianificazione regionale-provinciale e comunale». E proprio per questa carenza, hanno spiegato i consulenti, le contestazioni mosse agli imputati non trovano alcuna ragione di esistere. «Sono prive di un fondamento tecnico-scientifico-operativo e frutto di un approccio ex post. Mancava l’osservazione in tempo reale e il livello previsionale regionale ». In altri termini le accuse avrebbero potuto, forse, avere un senso solo se all’epoca fossero state in piedi regole e un sistema ben diverso di Protezione civile.

E che gli imputati, all’epoca, avessero fatto tutto quello che potevano, a quelle condizioni e con quelle falle nel sistema regionale di Protezione civile, lo dimostrano anche le circa mille telefonate intercorse, la sera del 18 novembre 2013, tra diversi funzionari della Provincia, Prefettura, e Forestale. Ieri, le trascrizioni di quelle conversazioni concitatissime, contenute in 1300 pagine di dialoghi, sono state depositate dal fonico forense, Walter Marcialis, nominato dai difensori Lai, Mereu, Ledda e Manca Bitti. E anche in quelle conversazioni, secondo difesa e consulenti in materia di Protezione civile, emerge come «il sistema di Protezione civile si trovasse in una condizione di gravissima inadeguatezza e incompiutezza». Soprattutto perché mancava il Centro funzionale decentrato. Se quest’ultimo fosse esistito, ci sarebbe stata «una descrizione molto circostanziata dei possibili effetti al suolo attesi, e una produzione quasi in continuo di bolletini meteo e di osservazione, monitoraggio e sorveglianza».

Nell’udienza di ieri, in aula, è stato sentito anche il consulente nominato dagli avvocati Andrea Gaddari e Giovanna Angius. Al centro del suo accertamento c’era l’accusa, formulata dalla Procura e sostenuta da una consulenza, secondo la quale la costruzione di una briglia, sul ponte di Oloè, «così come realizzata e attualmente esistente, possa aver ridotto la sezione idraulica del ponte». Il consulente della difesa rigetta «come infondata», quella conclusione dell’accusa, perché derivata «da un’erronea lettura dei dati disponibili e anche citati dal consulente tecnico del pubblico ministero nel corso della sua elaborazione».

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