L’ex presidente di Confindustria condannato a 2 anni per bancarotta
Per il pm, Michele Denti e la moglie avevano sottratto la contabilità della Mav Srl
Nuoro Due anni per bancarotta fraudolenta. Con questa condanna si è chiuso ieri davanti al tribunale collegiale presieduto da Elena Meloni (a latere i giudici Alessandra Ponti e Claudia Falchi Delitala) il processo a carico di Michele Denti, ex presidente di Confindustria e della moglie Grazia Nonne. Il pubblico ministero Andrea Ghironi, ritenendo dimostrata la responsabilità degli imputati, aveva chiesto la condanna a 4 anni. Di parere opposto gli avvocati Ivano Iai e Francesco Porcu, che nel corso della discussione avevano sostenuto con forza l’assoluta innocenza dei propri assistiti, cercando di far emergere la correttezza del loro operato. Secondo l’accusa quando ancora era pendente la procedura volta alla dichiarazione di fallimento, Grazia Nonne aveva cercato di opporsi sostenendo che la situazione finanziaria dell’azienda fosse sana. Contestualmente era stato nominato come liquidatore della Mav Costruzioni Srl Michele Denti, che risultava in qualità di amministratore della Sogeim cedente del ramo d’azienda. Sopraggiunta la dichiarazione di fallimento della società (nel 2013 ndr) il curatore avevo richiesto al liquidatore le scritture contabili, ma questi aveva dichiarato di non avere mai avuto contezza del fallimento della società. Motivo per cui, secondo l’accusa, non era stato possibile avere conoscenza esatta di quando fosse iniziato lo stato di decomposizione della Mav Srl, perché il curatore non aveva potuto esaminare le scritture contabili. La società che nel frattempo aveva preso in affitto un ramo d’azienda dalla Sogeim amministrata da Denti. Tra la Mav, già affittuaria di una porzione della Sogeim, e la società, c’era stata la cessione nel 2011 al prezzo di 210mila euro, già versati in esecuzione del contratto di affitto di azienda. Successivamente, c’era stata una nuova gestione dello stesso ramo d’azienda: questa volta dalla Mav alla Co.Ri. (Costruttori Riuniti), di proprietà della Finanziaria Sarda. Anche questa cessione era avvenuta senza pagamento di corrispettivi. Motivo che aveva spinto l’accusa a sostenere che un bene già entrato nel patrimonio sociale dell’azienda, era stato sottratto ai creditori. La difesa, invece, ha sempre affermato l’ innocenza dei propri assistiti. Secondo gli avvocati Iai e Porcu, Michele Denti nel periodo della messa in liquidazione della Mav Costruzioni non era stato messo a conoscenza della procedura fallimentare da parte del Tribunale, non avendo mai ricevuto alcuna comunicazione. «L’imputato non ha occultato o sottratto alla curatela fallimentare la contabilità e i libri sociali dell’azienda – avevano detto –. Denti non ha mai ricevuto alcuna richiesta di esibizione o consegna di tale documentazione. Grazia Nonne, inoltre, non ha avuto alcun ruolo se non di stretta formalità nella società. La sua partecipazione personale all’udienza del pre-fallimentare non ha alcuna rilevanza ai fini della configurazione dei reati contestati. Il curatore che aveva effettuato un accesso presso la sede della società in liquidazione avrebbe dovuto, oltre agli aspetti di natura procedurale, approfondire l’aspetto relativo alla documentazione». Secondo la difesa, in merito alla cessione del ramo d’azienda, oltre alla quantificazione del prezzo stipulato era necessario soffermarsi sui tempi in cui i contratti si erano succeduti. «Se si va a vedere – avevano sostenuto gli avvocati – la società Mav cedette il ramo d’azienda alla Co.Ri in successione a tre contratti: il primo nel 2008 e gli altri due nel 2011. Nel primo contratto di affitto tra Mav e Sogeim si avevano tre appalti di valore economico importante con i consorzi di Bonifica della Nurra e dell’Ogliastra: uno di 3 milioni 690mila euro, uno di 888mila e infine, un altro di 335mila. L’affitto di ramo d’azienda avvenne con limitazione specifica di questi appalti per cui il valore del contratto era elevato. Di questo valore complessivo, parte degli appalti era stata eseguita, per cui ne rimaneva una residuale. Quando Sogeim affittò a Mav il ramo d’azienda vi era un valore dell’affitto elevato. Successivamente ci fu una cessione che previde un computo in conto rendite delle somme già pagate, di 180mila euro annui. Perciò – avevano concluso i difensori degli imputati – la successiva cessione (in tre anni gli appalti erano stati completati) difettava di questa parte. Ecco perché il valore era sceso notevolmente». (k.s.)