La Nuova Sardegna

Nuoro

L’intervista

Gad Lerner: «La mano delle destre su Israele, abbiamo dei pessimi nuovi amici»

di Alessandro Mele
Gad Lerner: «La mano delle destre su Israele, abbiamo dei pessimi nuovi amici»

Il giornalista e scrittore a Nuoro con “Ebrei in guerra. Dialogo tra un rabbino e un dissidente”. Su Grazia Deledda: «E’ la dimostrazione che la provincia con coincide con il provincialismo»

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Ebreo e dichiaratamente sionista. Ma il suo pensiero non è certo allineato a quello di Benjamin Netanyahu. Anzi, è proprio la «deriva identitaria» che oggi travolge lo stato di Israele a preoccupare Gad Lerner, che vede palesarsi sull’orizzonte geopolitico dell’asse arabo-israeliano, il pericolo delle simpatie delle destre nazionaliste. Di questo e di tanti altri temi, Sardegna compresa, ha parlato il giornalista e scrittore nato in Libano, ospite a Nuoro per presentare “Ebrei in guerra. Dialogo tra un rabbino e un dissidente”, la pubblicazione scritta a quattro mani insieme al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, edita da Feltrinelli nel 2025.

Lerner, chi è il rabbino e chi il dissidente? Un identificativo degli autori, o tra le righe c’è una storia più profonda da raccontare?

«La storia c’è e il significato è profondo. Ho accolto questa proposta di pubblicazione giuntami dal rabbino capo di Roma, autorità in carica da 25 anni e alla guida di una delle comunità ebraiche più antiche. Ha rotto, sorprendendomi, quel muro di ostracismo sollevato dalle istituzioni ebraiche verso noi dissidenti. A noi che dopo il massacro del 7 ottobre 2023, avevamo scelto di criticare la proposta dissennata, autodistruttiva e criminale che Israele stava dando alla jihad islamica».

Ebrei in guerra. Contro Hamas o anche all’interno delle comunità?

«Senza dubbio gli ebrei continuano ad essere al centro di una guerra di rilevanza mondiale, ma sono anche in guerra tra loro. Per due anni le comunità italiane, ad esempio, hanno fatto finta che non esistessimo. Come che una critica ebraica contro Netanyahu non potesse esistere. Eravamo trattati come disertori, come traditori senza più identità».

Identità. Un concetto storicamente importante per il popolo ebraico ma anche per la Sardegna.

«È vero. Ma tutte le identità collettive sono finite dentro un mondo che ci ha mescolati e che, nel bene e nel male, ci ha messo in contatto con culture diverse. Il tentativo di recuperare la tradizione dà luogo a manipolazioni, a costruzioni che non sono altro che il desiderio di darci una corazza. Anche il sardismo contemporaneo ha poco a che fare con le tradizioni e spesso c’è un abuso».

Si, ma in Sardegna questo fenomeno si chiama folclore, per voi, invece, è un fatto religioso.

«Esatto. C’è chi oggi da una lettura volgare e catastale della terra promessa che invece nella bibbia ebraica è da leggere come fatto condizionato a codici di comportamento morali. Siamo tutti ospiti provvisori. Per questo la bibbia non è un’arma e chi la usa come tale, bestemmia».

Gli Stati Uniti, l’Europa, la Chiesa cattolica. Com’è la situazione?

«Il piano di Trump congela una guerra nella quale si abbassa la tensione senza risolvere i fatti scatenanti. Finché non si prende atto dell’esistenza di uno stato palestinese stiamo solo perdendo tempo che costa sofferenze. Sul fronte occidentale, invece, finché non esisteranno gli Stati uniti d’Europa, questo sarà un Continente diviso. Vero è che fino ad oggi nessuno ha ancora adoperato alcuno strumento di pressione su Netanyahu. Nessuna restrizione. Nessun veto. Tra Chiesa e Governo, infine, c’è attrito totale. Papa Leone dice “due popoli e due stati”, ma dispiace che l’appoggio caritatevole di papa Francesco ancora oggi susciti disprezzo e ostilità tra gli israeliani».

È in questo contesto che nascono le simpatie delle destre nazionaliste verso Israele?

«Noi ebrei abbiamo dei pessimi nuovi amici. Basti pensare a quella estrema destra tedesca che oggi incoraggia all’indulgenza e al revisionismo rispetto agli orrori del nazismo. Ancora, Fratelli d’Italia, lo stesso Trump, il Brasile, la Polonia e l’Ungheria. Antisemiti per tradizione che oggi si dichiarano ferventi sionisti».

A proposito di simpatie. Cosa ne pensa, invece, della giunta Todde che da un lato glissa sull’ampliamento della fabbrica di bombe a Domusnovas e dall’altro protesta per la trasformazione delle carceri di Nuoro, Uta e Sassari in colonie per i detenuti sottoposti a 41 bis?

«Sono certamente due posizioni in netto contrasto. Ma c’è da dire che questo denota le difficoltà delle forze progressiste. Quando si sta all’opposizione è facile difendere i propri principi, quando invece si governa è più complicato restare fermi sulla propria linea. Certo è che non si può trattare la Sardegna come una discarica. A Badu ’e Carros, che visitai anni fa, le condizioni detentive sono già incivili e questa scelta non fa che entrare in contrasto con le politiche di sviluppo. Il Mezzogiorno d’Italia così risulterà ancora più povero».

Era a Nuoro. Cosa si porta dentro delle zone interne dell’isola?

«Personaggi come Grazia Deledda mi hanno sempre affascinato. È incredibile come sia riuscita a mandare un messaggio cosmopolita senza dimenticare le proprie radici. Da Nuoro, oggi come allora, può partire un messaggio universale: provincia non coincide con provincialismo».

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