La Nuova Sardegna

Olbia

Il commercio senza crisi: è boom di negozi stranieri

di Luca Rojch
Il commercio senza crisi: è boom di negozi stranieri

Crescono sempre di più le attività gestite da non italiani e dedicate agli immigrati Dalla macelleria islamica al supermarket che vende solo prodotti romeni o cinesi

18 agosto 2013
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OLBIA. Giua, Spano e Muzzetto sono destinati a estinguersi. Sostituiti da Ionut, Wang, Diop. La città parla sempre meno italiano dietro il bancone. Ogni 5 nuove attività commerciali che vengono aperte una è straniera. Un boom più forte della crisi. E forse le attività gestite da chi non è italiano sembrano avere anticorpi più resistenti al virus della recessione che ha decimato le attività commerciali.

Le insegne straniere si moltiplicano. Un fenomeno inarrestabile, figlio della natura sempre più multietnica di Olbia. Nel giro del mondo tra le insegne si scopre che la contaminazione delle culture ha già invaso Olbia. Sono tanti gli imprenditori che hanno messo radici nelle vie del commercio. Scelte coraggiose, a volte controcorrente. Kamel, marocchino da diversi anni in città, non ha dubbi. «La mia è la pizza migliore della città – dice accanto all’insegna della “Pizzeria El Medina” in via Longhena –. L’ho aperta un anno e mezzo fa e va benissimo», ma accanto c’è l’immancabile spiedo carico di Kebab che non smette mai di girare. E basta il nome del suo locale, una sintesi geniale, per far capire come la convivenza sia una sovrapposizione di culture.

In via Tavolara da alcuni mesi ha acceso l’insegna, bilingue, una macelleria islamica. Ad aprire l’attività il tunisino Adel Bejaoui. Si vende solo carne macellata secondo i precetti del Corano. Ma chi si aspetta di trovare la fila di integralisti sbaglia tutto. Davanti alla vetrina tanti italiani e stranieri. Un successo scontato per il negozio. «Sono tanti a venire da noi – spiega Adel –, perché offriamo un servizio che non esisteva». L’integrazione spesso passa più dalla pancia che dal cervello. La sua macelleria alla fine è un piccolo supermarket. Un compromesso. Negli scaffali accanto ai prodotti che arrivano dal nordafrica ci sono i battoli di pelati e i pacchi di spaghetti.

Ma qualche volta l’orgoglio di un popolo e il simbolo dell’identità si trovano tra le scatole degli scaffali. Dai sapori che riportano un po’ a casa. La testimonianza è nel successo del supermercato che alla fine di via Sangallo vende solo prodotti romeni. Un successo. Ma il proprietario non si è solo affidato al tam tam, ha tappezzato la città di volantini.

Nella strada più multietnica della città, via Vittorio Veneto, c'è un supermarket che sugli scaffali ha solo prodotti sudamericani. Si chiama “Mi Perù” e lo gestisce un olbiese delle Ande. José Rosario Venturo, nato in Perù, ma che vive a Olbia da oltre 20 anni. «La Sardegna mi ha dato tre cose bellissime – racconta mentre mostra con orgoglio la birra che importa dall’Ecuador –, un lavoro, dei figli e una moglie bellissima».

La moglie Tania Vinces, ecuadoregna, è a 100 metri di distanza. Gestisce un locale che è la sintesi del melting pot della città. L’equadoregna Tania gestisce un negozio che si chiama Asterix II e prepara soprattutto kebab. Rosario va orgoglioso della sua attività. «Io mi sento olbiese, ma sono un punto di riferimento per la comunità sudamericana della città che è in continua crescita – spiega –. Solo in questa via ci sono 13 famiglie. C’è una forte richiesta dei nostri prodotti. Ora porto avanti anche un altro progetto. Fare un locale dove si mangia solo sudamericano, si balla latino-americano».

Ma c’è anche un’altra comunità che da sempre ha mostrato una fortissima vocazione mercantile e anche in città mostra il suo strapotere. Il simbolo della Cina rampante è nell’Iper mek. Il negozio più grande della città, oltre 5mila metri quadrati, è un bazar cinese in cui si vende tutto. Al piano di sopra un ristorante da oltre 100 posti, il Wok Hu 168, cucina orientale. Il proprietario è sempre cinese. Ma è solo uno dei tantissimi negozi gestiti da asiatici che spopolano in città e che sembrano più forti della crisi che devasta il tessuto commerciale.

@LucaRojch

@RIPRODUZIONE RISERVATA

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