La Nuova Sardegna

Olbia

Olbia, processo Al Qaeda: «Whali Khan collaborava con la polizia»

di Giampiero Cocco
Olbia, processo Al Qaeda: «Whali Khan collaborava con la polizia»

Il console pakistano in Italia: «Nessun legame tra i miei connazionali e il terrorismo». La rivelazione smentita dalla Digos

09 aprile 2016
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SASSARI. Nel processo contro i presunti terroristi pachistani in corso nell’aula bunker del supercarcere di Bancali, irrompe l’autorevole dichiarazione del console pakistano in Italia, Amad Farouk. «Dalle indagini svolte dalla nostra polizia e dai servizi antiterrorismo del nostro paese – ha dichiarato ieri il diplomatico mediorientale –, non risultano esserci collegamenti tra il gruppo finito in carcere in Italia è le fazioni integraliste islamiche che hanno attuato e rivendicato i diversi attentati in Pakistan, in particolare quelli sanguinosi del mercato di Peshawar del 2009 e gli attacchi terroristici compiuti ai danni di scuole militari e postazioni di polizia».

Parole forti, ascoltate con estrema attenzione dai connazionali del diplomatico rinchiusi dentro le gabbie ricavate nell’aula bunker di Bancali, dai loro difensori e d. Parole che stridono contro le risultanze accusatorie elencate dal pubblico ministero Danilo Tronci il quale, nella relazione introduttiva, aveva sottolineato come fossero avvenute fughe di notizie, degli ambienti della polizia pachistana, quando vennero inviate le rogatorie dall’Italia. Documenti riservati che furono portati a conoscenza dei familiari del presunto capo della cellula dormiente di Al Qaeda in Italia, il commerciante che gestiva attività di ristorazione e bazar a Olbia, Sassari e Alghero, Sultan Wali Khan. Il quale, è questa è la notizia trapelata ieri in aula, avrebbe collaborato per circa dieci anni con la polizia italiana fornendo informazioni ad poliziotto che lui conosceva con il nome di Gavino.

Una collaborazione smentita dal dirigente della Digos di Sassari Mario Carta, che anche ieri è stato sottoposto alle domande del collegio difensivo. Gli avvocati chiedevano, in particolare, se le indagini avessero accertato che Niaz Mir, uno dei pakistani finiti in carcere, svolgesse a Roma l’attività di giornalista per una testata online di lingua mediorientale e, per questo motivo, era in contatto con l’ambasciata pakistana e con diversi funzionari che vi prestavano servizio. Da qui il suo interessamento alla raccolta di fondi attraverso le collette tra connazionali da inviare in Patria per sovvenzionare scuole e centri coranici riconosciuti dal Governo. Per l’accusa era invece il collettore italiano di fondi a cui facevano riferimento l’imam di Bergamo Hafiz Muhammad Zulkifal e il presunto capo terrorista Sultan Wali Khan.

Una serie di rivelazioni che saranno sottoposte al vaglio della Corte non appena verranno sbobinate e tradotte dalle lingua madre quella parte di intercettazioni telefoniche ed ambientali che sono alla base della decennale inchiesta portata avanti dalla Digos di Sassari e coordinata dai magistrati della direzione antimafia e antiterrorismo di Cagliari. Il presidente Pietro Fanile si è infine riservato di accogliere la documentazione prodotta dal diplomatico pachistano, rinviando il processo al prossimo 22 aprile, quando verranno ascoltati ancora il capo della Digos di Sassari Mario Carta e diversi ispettori che, nel corso degli anni, facevano parte della equipe di investigatori che lavorarono sul caso.

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