La Nuova Sardegna

Olbia

Olbia, condannati zio e padre violentatori

di Giampiero Cocco
Olbia, condannati zio e padre violentatori

Il tribunale, inasprendo le proposte del pm, ha inflitto 10 anni a uno e 7 anni e mezzo di carcere all'altro

28 marzo 2017
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TEMPIO. Avevano costretto una ragazza di 17 anni a vivere nel degrado fisico e morale, costringendola per anni a seguirli in tuguri dove subìva maltrattamenti e violenze sessuali. Ieri i due orchi, – M.A. di 44 anni, e P.S., di 52, rispettivamente zio e padre della ragazza, sfortunata vittima di ripetuti abusi sessuali da parte di entrambi – sono stati condannati rispettivamente a dieci anni di reclusione il primo e sette anni e mezzo il secondo per sequestro di persona, abusi sessuali continuati e riduzione in schiavitù. I due resteranno rinchiusi nel carcere di Bancali, dove si trovano dall’aprile del 2015, quando scattò il blitz disposto dalla Dda di Cagliari per mettere fine alle sofferenze fisiche e psicologiche a cui era costretta la ragazza, in balia dei due depravati parenti. A condannare gli orchi è stato ieri il collegio giudicante presieduto da Gemma Cucca, che ha ritenuto prevalenti le aggravanti sulle attenuanti proposte per la oggettiva situazione di degrado emersa nel corso del dibattimento e che avevano portato alla richiesta di sette anni per M.A (lo zio materno) e di 6 anni per P.S., (il padre snaturato) sollecitate dal pubblico ministero Andrea Schirra. Per i giudici la pena equa era di dieci anni per lo zio e di sette anni e mezzo per il genitore, con le pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni morali e fisici alle parti civili costituite, che sono la vittima degli abusi sessuali (assistita dall’avvocato Immacolata Natale) e della associazione “Prospettiva Donna”di Olbia, al fianco della ragazza in questi anni nel difficile percorso di reinserimento nella società.

Il difensore dei due, l’avvocato Rosa Cocco, ha annunciato appello non appena potrà leggere le motivazioni che hanno portato alla pesante condanna, che saranno depositate entro i prossimi due mesi. Contro i due era stato puntato l’indice accusatore direttamente dalla vittima, la quale, sentita nel corso del dibattimento in ambiente protetto, aveva ricostruito il lungo e doloroso peregrinare tra tuguri e grotte dove era stata costretta a vivere per quasi due anni dai parenti. I quali, sistematicamente, avevano anche abusato di lei. Un racconto agghiacciante che ha fatto emergere uno spaccato familiare in cui il degrado morale e la costrizione fisica e psicologica erano una costante. Una vita da schiava sessuale che venne interrotta grazie all’intervento degli uomini della squadra nautica di Olbia che avevano scoperto, sul litorale a est della città gallurese, uno degli ultimi “rifugi” della famiglia di sbandati, ponendo fine alle sofferenze fisiche e psicologiche della donna. I due indagati avevano costretto la ragazza, sin dal 2014, a vivere in case diroccate o rifugi di fortuna, senza alcun genere di comodità. La ragazza, in uno dei rari momenti di libertà, conobbe casualmente un giovane che aveva espresso la volontà di darle una mano, avviando le indagini della polizia. Anche in questo frangente il sostegno dell'associazione antiviolenza di Olbia, Prospettiva donna, è stato decisivo.

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