La Nuova Sardegna

Olbia

La Gallura ora cerca il riscatto dell’olio 

di Giampaolo Meloni
La Gallura ora cerca il riscatto dell’olio 

La cooperativa che gestisce l’impianto di Berchidda, unico del territorio, ha un progetto di filiera per lo sviluppo del settore

28 maggio 2017
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BERCHIDDA. Quello gestito dalla cooperativa arl è l’unico impianto del territorio, del nordest sardo. Si chiama Oleificio Gallura. È a Berchidda. Viene da una storia lontana. Sino agli Sessanta a Olbia erano ancora in attività il frantoio della famiglia Uggias e qualche altro di dimensione artigianale. A un certo punto non ci furono più le condizioni per reggere il lavoro e le richieste dei tempi più moderni. Un frantoio oggi ha bisogno almeno di cinquemila quintali all’anno di olive molite. Berchidda ne lavora in media 2500 quintali. Come regge? «Perché siamo una cooperativa – spiega Angelo Crasta che ne è il presidente da circa sette anni –. I soci prestano il lavoro gratuitamente. Io stesso faccio lavoro di segreteria, tutto il lavoro che dovrebbe fare un dipendente pagato». Ma si deve gestire bene sino all’ultimo centesimo.
La scommessa. Ma ora si tratta di crescere, di imprimere una ulteriore svolta dopo gli ammodernamenti del periodo recente. Anzi, di affrontare una scommessa. Obiettivo: produrre un olio d’oliva di qualità che abbia nel proprio corredo genetico la certificazione gallurese. Quello della società coooperativa “Oleificio Gallura”. Ma soprattutto, entro il 2017, è necessario dare corpo a un “progetto di filiera”, ossia gestire l’intero processo, dall’impianto dell’uliveto all’immissione in mercato dell’olio imbottigliato. «Devi avere una filiera chiusa – spiega Crasta –, altrimenti non si sta in piedi. Noi la struttura l’abbiamo ed è stata realizzata alla fine degli anni Novanta con finanziamenti della Regione».
Passi avanti. Il nuovo opificio ha sostituito il vecchio che era al centro del paese. Ora nella zona artigianale c’è un edificio ampio ma chè è sottoutilizzato. Quando chiusero gli opifici di Olbia, i berchiddesi disperati si misero assieme. In quegli anni, la seconda metà dei Sessanta, c’era molto spirito cooperativo (nacque la coop della carne, la cooperativa Giogantinu, l’oleificio sociale), la stessa coop dell’oleificio antico da Cooperativa Berchidda diventa Oleificio Gallura, perché nel corso degli anni l’apporto dei soci esterni è diventato molto importante.
La qualifica a rischio. Non c’è un prodotto finale marchiato gallura e di origine controllata. «Nel maggio del 2015 siamo stati riconosciuti dalla Regione come organizzazione di produttori, siamo una Op, ossia lo strumento giuridico messo in campo dalla Comunità europea per uscire dal particolarismo, evitare che ciascuno faccia i cavoli propri in casa propria». La coop ha mutuato in meglio l’attenzione dei produttori, ha eroso la tendenza al particolarismo. Ma c’è ancora tanto da fare. Ciascun socio ha l’obbligo di conferire il 25 per cento della propria produzione olivicola alla cooperativa e questa ha l’obbligo di commercializzare questo prodotto. La strada è aperta. Alle porte c’è tuttavia il nuovo traguardo: entro il 2017 c’è l’obbligo di raggiungere i 200mila euro di fatturato. «Altrimenti – spiega il presidente Crasta – perdiamo la qualifica di Op. Ora con la terza annualità del programma europeo completiamo l’impianto di stoccaggio e realizziamo l’impianto di imbottigliamento. Quindi siamo ormai in dirittura d’arrivo. Si lavora anche per il marchio proprio. E si perfeziona il ciclo di riutilizzo degli scarti, che ora sono diventati prodotti utilizzabili nel settore dei combustibili e della coibentazione.
Gli aiuti comunitari. Ci sono tutte le premesse per dare corpo al progetto di filiera, che peraltro ha una intensità di aiuto molto elevata, anche per l’avvio di un piccolo oliveto. «Quindi – se non si lavorasse per questo – osserva Crasta – il territorio perderebbe un’occasione più unica che rara per portare avanti lo sviluppo del settore. Noi, diventando capofila ci obblighiamo a investire e migliorare il servizio per gli altri, soci e non soci. Con il Patto di filiera, c’è una specie di convenzione per portare le olive per la molitura all’oleificio di Berchidda». In caso contrario, svanisce la Op, addio ai finanziamenti e cala il sipario su un futuro di crescita per un settore di grandi prospettive com e l’olivicoltura.
L’unità territoriale. Occorre raggiungere i 200mila euro di fatturato. Asticella che gli attuali 350 soci non raggiungono, si attestano all’incirca alla metà. «Dobbimo fare di tutto per centrare questo obiettivo», ribadisce Crasta. È un appello a tutti i produttori per dire che si può investire in olivicoltura anche con buone prospettive di reddito. «Intanto si stanno facendo dei passi avanti significativi con la programmazione territoriale, così deve fare il sistema economico. Altrimenti, avremmo due strutture, magari entrambe finanziate dalla Regione che si faranno la guerra tra loro». Un quintale di olive si lavora con 12.50 euro. Se si moltiplica questa cifra per 2500 quintali ottieni intorno ai 30mila euro. «Con questa somma devi pagare tutto, tutte le spese di gestione degli impianti e la contabilità. Tuttavia sono ottimista», conclude Crasta.
All’oleificio Gallura, associati alla cooperativa, aderiscono oltre 300 produttori locali, molti dei quali operano nei territori del Monte Acuto e dell’Alta Gallura, e una settantina nel territorio comunale di Olbia. Negli ultimi anni la coop si è aggregata alle organizzaizoni nazionali. Abbiamo potuto godere dei benefici della Comunità europea.
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