La Nuova Sardegna

Olbia

Aste pilotate, interdetto un altro giudice

di Marco Bittau
Aste pilotate, interdetto un altro giudice

Elisabetta Carta, oggi a Sassari, è accusata di aver rivelato segreti d’ufficio agli indagati per la vendita di Villa Ragnedda

14 febbraio 2018
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OLBIA. Nuovo colpo di scena nell’inchiesta sulle aste pilotate nel tribunale di Tempio, sempre più simile a una tonnara. Il gip del tribunale di Roma, Giulia Proto, ieri ha ordinato l’interdizione per 6 mesi del giudice Elisabetta Carta, indagata per violazione del segreto d’ufficio in una costola dell’inchiesta sulla vendita all’incanto di Villa Ragnedda, a Baia Sardinia. Il gip di Roma ha accolto solo parzialmente la richiesta del pm Stefano Rocco Fava che per la Carta aveva sollecitato l’interdizione per un anno.

Secondo l’accusa, il giudice, in servizio a Tempio fino a pochi mesi fa e attualmente in forza al tribunale di Sassari, è accusata di aver disposto intercettazioni avvisando però gli interessati, i due avvocati Tomasina Amadori e Giuliano Frau, pure loro indagati nella presunta turbativa d’asta relativa alla vendita della villa dell’imprenditore di Arzachena Sebastiano Ragnedda, acquistata a un prezzo inferiore rispetto al valore reale, dai magistrati Andrea Schirra e Chiara Mazzaroppi. Anche Schirra e Mazzaroppi figurano nella lista degli indagati insieme al giudice dell’esecuzione Alessandro Di Giacomo (già sospeso), all’ex presidente del tribunale Francesco Mazzaroppi (indicato come regista dell’operazione) e al perito Ermanno Giua.

Amaro il commento dell’avvocato Ivano Iai, difensore (insieme al collega Cesare Piraino) di Elisabetta Carta. «L’ordinanza sarà immediatamente impugnata sia sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, sia sotto l’aspetto delle esigenze cautelari, il cui difetto, e ciò ci sorprende, non ha comunque scongiurato un provvedimento così grave – dice l’avvocato Iai – nell’ordinanza di interdizione non si tiene alcun conto né delle iniziative tecniche della difesa, spiegate attraverso la produzione di verbali di testimonianze, né della memoria depositata a corredo dell’interrogatorio cui il giudice Elisabetta Carta si è volontariamente sottoposta per smentire, nel merito, la contestata rivelazione del segreto d’ufficio, senza, peraltro, la conoscenza degli atti di causa». «Proprio su tale profilo mancano gli indizi di colpevolezza – aggiunge il difensore – non essendoci prova alcuna, ma semmai quella opposta indicata dalla difesa, che il giudice abbia mancato di adempiere ai propri doveri d’ufficio abdicando al necessario riserbo connesso alla funzione di gip all’epoca esercitata. È contraddittorio, inoltre, che il gip abbia ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, tutte motivate con il pericolo di reiterazione dei reati della medesima specie di quello per cui si procede e abbia atteso ben due mesi dal 19 dicembre 2017, data dell’interrogatorio preliminare, prima di provvedere alla sospensione. Sono certo che in sede di riesame l’ordinanza sarà annullata anche in ragione dell’assenza di tale profilo di cautela. Il fatto risale a due anni fa, manca quindi il requisito dell’attualità». «Infine – conclude il difensore – la misura cautelare è inspiegabilmente fondata su intercettazioni telefoniche e ambientali inutilizzabili per due motivi: il codice pone come limite di ammissibilità delle captazioni telefoniche in materia di delitti contro la pubblica amministrazione che gli stessi siano puniti con una pena non inferiore nel massimo a 5 anni, mentre per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio il codice prevede una sanzione edittale massima di 3 anni. Si tratta, inoltre, di intercettazioni utilizzate nei confronti dello stesso magistrato, la dottoressa Carta, che aveva in parte provveduto ad autorizzarle quand’era gip a Tempio».

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