La Nuova Sardegna

Olbia

Migranti in Gallura, quando l’integrazione diventa una realtà

di Stefania Puorro
Migranti in Gallura, quando l’integrazione diventa una realtà

Il dibattito organizzato dalla Cgil alla stazione marittima Storie di giovani scappati dai loro paesi per salvarsi la vita

14 novembre 2018
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OLBIA. E’ seduto in fondo, nella grande sala della stazione marittima, dove la Cgil ha organizzato una tavola rotonda sull’immigrazione. Al suo fianco, un gruppo di monori non accompagnati ospiti della comunità di Calangianus. Sorride, Bourama Diarra, 19 anni, che vive a Paduledda (Trinità). E’ felice, qui si trova bene, è perfettamente integrato. Frequenta il liceo artistico De Andrè a Tempio e vuole iscriversi all’Università. La sua famiglia, che vive nel Mali, nell’Africa Occidentale, lo ha lasciato andare. Perché sapeva che questo figlio voleva costruirsi un futuro. «Io voglio fare lo scrittore. Scrivere è una passione che ho da sempre e poter raccontare agli altri ciò che senti dentro, è quello che desidero fare. Mi piace studiare, amo lo spettacolo e la cultura, faccio parte di un gruppo teatrale, ho tanti amici e tante persone che mi vogliono bene. Certo che i miei genitori e i miei fratelli mi mancano, ma è qui che voglio crescere è qui che voglio dare un senso alla mia vita. E ce la sto mettendo tutta». Le parole di Bourama sono cariche di sogni, ma anche di certezze. Lui sa esattamente cosa vuole «e qui, in Italia, posso raggiungere il mio obiettivo».

In prima fila, invece, ci sono altri tre ragazzi africani. Lamin, Geroge e Morykeba, rispettivamente di 20, 19 e 21 anni. Loro vivono vivono a Porto Pozzo, sono tra i dieci richiedenti asilo inseriti nello Sprar (il servizio centrale di protezione per i richiedenti asilo). «E loro - come ha detto Aly Cisse, presidente dell’associazione Labint - sono scappati dai loro paesi e arrivati qui per salvarsi la vita. Chi scappa dalla guerra, paradossalmente, è più fortunato. Ma questi ragazzi sarebbero andati incontro a una morte lenta, perché vivere nella fame e nella povertà, è devastante: ti porta via le forze ogni giorno che passa. E per salvarti, puoi solo fuggire. Quello attuale, però, non è un momento facile. Un tempo erano i bambini ad aver paura dell’uomo nero. Oggi, bambini bianchi e neri, nascono e crescono insieme, vanno a scuola insieme, lavorano insieme. Sono gli adulti, adesso, ad aver paura dell’uomo nero e a creare questo terrore ingiustificato sono i politici. Loro stanno creando un clima di intolleranza nonostante in questo Paese ci sia una profonda umanità. E proprio lo spirito di grande accoglienza e la bellezza della gente italiana sono conosciute dappertutto».

Durante i lavori della tavola rotonda, durante i quali non sono mancati i momenti emozionanti, sono intervenuti Luisa di Lorenzo, segretaria generale della Cgil Gallura, Francesca Ena, medico e pilastro storico del Labint, Patrizia Desole di Prospettiva Donna e il sindaco di Santa Teresa Stefano Pisciottu che ha parlato dell’iniziativa di accoglienza dei migranti all’interno dello Sprar. «A Santa Teresa il Cas, il centro di accoglienza straordinaria, era stato istituito nel 2015 ma entrò in funzione l’anno dopo. La sede era un albergo di Porto Pozzo, capace di accogliere 200 ospiti. I primi 140 arrivarono da Cargeghe nel 2016, con un preavviso brevissimo. Li accogliemmo, poi il numero salì a 200. Ci siamo mobilitati subito per affrontare l’emergenza. Ci siamo occupati dell’aspetto sanitario, dell’attività didattica, dell’integrazione, dell’assistenza psicologica. Con il preziosissimo lavoro dei Servizi Sociali. Poi abbiamo cominciato a ragionare sino a ritenere lo Sprar la soluzione migliore. Nella primavera del 2018 abbiamo reperito gli alloggi e sistemato, sinora, 10 richiedenti asilo, a cui se ne possono aggiungere altri due. Nello stesso tempo il Cas ha cominciato a spopolarsi e ora sono in attesa di nuove sistemazioni ancora 70 persone. Fosse per me, proporrei a tutti i comuni italiani di entrare in questa rete».

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