La Nuova Sardegna

Olbia

«Acqua e cannuccia così suono le launeddas»

di Mauro Piredda
 «Acqua e cannuccia così suono le launeddas»

Da Escalaplano a Siniscola, la storia del musicista 23enne Stefano Tatti «Sono stato in Svizzera e in Bulgaria, ma qui ho trovato l’ambiente giusto»

18 febbraio 2020
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SINISCOLA. La sua permanenza a Siniscola era limitata, almeno all’inizio. Tre soli mesi nel 2017 per lavorare presso il Centro gas di Flavio Mele e poi nuovamente in patria, nel Gerrei. Ma Stefano Tatti, di Escalaplano, classe 1997, il lavoro se l’è conquistato con i suoi modi garbati, simpatici e professionali che hanno convinto datori di lavoro e clienti. Oggi è quindi un nuovo siniscolese. E alla sua comunità d’adozione, dalla quale sta assorbendo a poco a poco anche l’identità linguistica, ha portato un dono che fa parte della tradizione musicale della Sardegna, ma non di tutti i suoi luoghi: le launeddas. Stefano è giovanissimo; suona il classico strumento aerofono policalamo da diversi anni e mai e poi mai, lo dice chiaro e tondo, rinuncerà a “tumbu”, “mancosa” e “mancosedda”, le tre canne delle launeddas. Stefano è un universo sardo in sé: padre di Tonara, terra di Pepinu Mereu che usava il sardo letterario nonostante il dialetto di “mesania” di quelle parti; madre di Escalaplano, dove si parla un sardo meridionale che potremo sinteticamente definire campidanese occidentale. «Le differenze tra i dialetti dei miei genitori si notano – afferma il ragazzo –, eccome se si notano. Ma sono dialetti di una stessa madre lingua. Ora sono qui a Siniscola, capisco il sardo baroniese e passo dopo passo ho iniziato persino a parlarlo. Del resto mi interfaccio ogni giorno con clienti che parlano in sardo».

Qui Stefano ha avuto modo di apprezzare il canto a tenore locale e i tipici balli della zona, diversi da quelli che lui accompagna con le launeddas. E i siniscolesi hanno avuto modo di apprezzare la sua arte. Al punto di contattarlo per imparare a suonare queste tre ipnotiche canne: «Ho un allievo che promette bene, Filippo Puddori». Stefano ha appreso le prime nozioni ammirando i virtuosismi del suo futuro padrino di cresima, Jonathan Della Marianna, uno dei componenti dei Brinca. Il suo primo corso risale al 2010, con il maestro Orlando Mascia. «Ma non mi limitavo a quelle lezioni. Finito il corso invernale proseguivo ad allenarmi con padrino, mio maestro anche lui». Stefano non sapeva nulla di launeddas, dice: «Sono partito da zero e per esercitarmi utilizzavo un bicchiere d’acqua e una cannuccia».

Si sa, le launeddas non sono cornamuse, nemmeno zampogne: le nostre tre canne non sono collegate a una sacca. Occorre quindi lavorare con il corpo attraverso la tecnica della respirazione circolare: «Quando vedi che le bolle nel bicchiere sono costanti significa che hai imparato a rilasciare l’aria nel momento in cui la stai inspirando dal naso». Lo possiamo fare tutti, applicandoci? «Io lo sconsiglio a chi soffre di problemi respiratori, a chi ha sinusiti». E poi, il passo successivo? «Testare la respirazione circolare con l’ancia, “cun su cabitzinu”, che è molto più impegnativo, ma ci sono riuscito già alla seconda lezione». Poi, in progressione, è la volta delle diverse canne: «In quei giorni del corso ricevetti in regalo la mia prima “mancosedda”, la canna che funge da “mesu ‘oche”. Ma le prime difficoltà le ho avute con il basso, “su tumbu”». Non finisce qui: «Tra le diverse tipologie di launeddas, il fiorasso è più complicato del punto d’organo». Stefano ha già piazzato in curriculum diverse esibizioni, anche all’estero: «Sono stato in Svizzera e in Bulgaria». A Siniscola Stefano ha trovato un nuovo ambiente: «Ci sono molti giovani, c’è più ambiente». Ma è consapevole del fatto che ci sia molto da fare per un recupero delle tradizioni musicali e linguistiche: «Per me stare qui è un arricchimento, è una cosa in più scoprire quanto si realizza da queste parti. Ho suonato con Antonio Fenu, suonatore di organetto, ma non ancora con i gruppi di canto a tenore che giù da me non esistono». E Stefano pensa anche ai tanti ragazzi “distratti” da nuove tecnologie e alternative culturali slegate dae su connotu. «È un lavoro di lunga lena, ma se insistiamo con impegno potremo contagiare questa passione. Qui in Sardegna, a prescindere dai suoi diversi territori, abbiamo le nostre radici. Qui si suona, si canta, si balla, si fa poesia da secoli. Non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo smettere di farlo».

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