La Nuova Sardegna

Olbia

Olbia, denutriti e maltrattati: così si lucrava sui cani

Tiziana Simula
Olbia, denutriti e maltrattati: così si lucrava sui cani

Cibi scadenti, sporcizia e morti non registrate nel canile Europa sotto sequestro. Azara (Enpa): «Venivano soppressi anche in caso di malattie curabili» 

08 giugno 2020
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OLBIA. Potevano essere salvati con una pronta diagnosi e un’adeguata terapia. E, invece, in almeno dieci casi accertati, i cani sono morti per infezioni virali dovute alle critiche condizioni igienico sanitarie in cui vivevano all’interno dei box e alle mancate vaccinazioni. Ma c’è stata anche una morte per avvelenamento. E un’altra, ancora più sconvolgente, causata da lesioni ed ematomi multipli con la rottura degli organi interni: un’uccisione volontaria, secondo gli inquirenti.

È quanto emerge dagli accertamenti eseguiti dai veterinari dell’Università di Sassari e dalle perizie dei consulenti tecnici, nell’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza di Olbia, con la collaborazione delle guardie zoofile dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali), sul canile “Europa”, finito sotto sequestro nell’aprile 2019. Inchiesta della Procura che si è allargata anche sul fronte fiscale e che ha fatto scattare, due giorni fa, nuovi provvedimenti disposti dal gip del tribunale di Tempio Caterina Interlandi nei confronti dei responsabili del canile: il veterinario Quinto Puddu, direttore sanitario della struttura comunale, e la moglie Pina Murru, presidente dell’associazione di volontariato animalista ed ecologista “Movimento per la biodiversità”, che gestisce il canile. Puddu non potrà esercitare per un anno la professione di veterinario, né trattare con la pubblica amministrazione, cosa vietata anche alla moglie. Sequestrati anche beni per un milione e 200mila euro, cifra pari al profitto della truffa ai danni di una trentina di comuni, con i quali venivano stipulate le convenzioni per accogliere i randagi.

La coppia è accusata di maltrattamenti – Puddu anche di uccisione di animali – nei confronti dei 619 cani custoditi al momento del sopralluogo degli investigatori, all’interno del canile, in località Pedres, sulla strada Olbia-Loiri: il doppio del numero consentito dall’autorizzazione sanitaria, pari a 300. Cani che, stando all’inchiesta, vivevano in pessime condizioni igienico sanitarie, malnutriti e confinati in box sporchi e piccoli, alimentati con cibi inadeguati e scadenti. Gli investigatori hanno trovato nel cibo ossa, lische e perfino pezzi di etichette in plastica, col rischio di lesioni interne e blocchi intestinali. Una condizione di sofferenza che provocava negli animali patologie e infezioni ma anche malformazioni e deformazione degli arti, e un consumo esagerato dei denti, costretti com’erano a morsicare le recinzioni nel tentativo di uscire per muoversi liberamente. «Quello che abbiamo trovato nel canile andava ben oltre il maltrattamento – dice Giovanni Azara, responsabile provinciale delle guardie zoofile Enpa –. Se gli animali erano malati, venivano soppressi senza informare i proprietari, cioè i Comuni, anche in caso di malattie curabili come la leishmaniosi». Così sarebbero morti, con la somministrazione di farmaci, numerosi cani di proprietà dei comuni di Loiri, Berchidda e Budoni. Per numerosi altri, affidati loro dai comuni di San Teodoro, Budoni, Bortigiadas, Valledoria, Loiri, Posada e Ploaghe sarebbero state dichiarate vaccinazioni e visite che non hanno invece trovato riscontro negli accertamenti dell’Ats. Stando alle accuse, gli animali venivano lasciati morire e, in alcuni casi, uccisi con farmaci che inducevano l’eutanasia, senza nessun accordo con gli enti locali per continuare a percepire i contributi per ogni animale, così come previsto dalle convenzioni. Per questo, i decessi non venivano comunicati o ciò veniva fatto in ritardo. Così come venivano scoraggiate le adozioni. Oltre a partecipare all’inchiesta, l’Enpa ha anche curato, sterilizzato e dato in adozione nel corso dell’anno, oltre 150 cani provenienti dalla struttura sotto sequestro.

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