La Nuova Sardegna

Olbia

Arzachena alla Regione: «Basta con negozi e locali aperti solo per 20 giorni»

di Antonello Sechi
Porto Cervo in una giornata di gennaio
Porto Cervo in una giornata di gennaio

La giunta di Roberto Ragnedda chiede alla Regione la modifica della legge del 2006 sul commercio. «Oggi decadono dopo un anno di chiusura, tagliamo quel periodo a sei mesi»

02 febbraio 2021
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PORTO CERVO. Se vai a Porto Cervo, a Porto Rotondo e nei villaggi turistici della costa gallurese, ma anche nel resto dell’isola, rischi di sentirti uno spettro che si aggira nel set desolato di un film dove attori e tecnici hanno spento i riflettori e se ne sono andati portando via le attrezzature. Case, ville, ma soprattutto negozi, bar e ristoranti, discoteche: chiusi, tutti o quasi. Anche prima del Covid. Succede fuori stagione e lo si può capire. Ma anche a primavera o a settembre, quando la stagione turistica comincia o si avvia alla chiusura, è facile imbattersi in negozi e ristoranti che non hanno ancora aperto o che hanno già abbassato la serranda. Per non dire chi, come un pirata da prendi i soldi e scappa, apre l’attività giusto per 20-30 giorni, fa il pieno di incassi nelle settimane a cavallo tra metà luglio e fine agosto, poi pianta baracca e burattini. Con tanti saluti ai lavoratori e all’economia del territorio.

Ad Arzachena, dove la nostalgia per l’età dell’oro targata Karim Aga Khan è sempre più forte, hanno deciso che non si può andare avanti così, con imprenditori che più che tali sembrano predoni. E che dunque bisogna cambiare la legge regionale (la numero 5 del 2006) che lo permette: tagliando da un anno a sei mesi il periodo massimo di chiusura degli esercizi commerciali oltre il quale deve scattare la revoca delle licenze. La delibera che impegna il sindaco Roberto Ragnedda e il presidente del consiglio comunale Rino Cudoni a promuovere l’istanza alla Regione è già pronta e sarà sottoposta all’assemblea civica nella prossima seduta.

Ragnedda e Cudoni, del resto, hanno posto la questione da tempo, anche in polemica con la gestione delle strutture ricettive della Costa Smeralda da parte della proprietà qatariota. La scorsa estate, in ogni caso, il casus belli era stata la chiusura anticipata di una settimana del Billionaire, che Flavio Briatore aveva motivato con l’anticipo di un’ora dello stop alla musica imposto dal sindaco come misura anti-Covid, salvo poi scoprire che decine di dipendenti del locale di Porto Cervo erano positivi.

La proposta che partirà da Arzachena verso Cagliari è il classico sasso nello stagno. Una provocazione che riguarda l’intero settore dell’isola. Le norme in vigore dal 2006, spiegano ad Arzachena, hanno avuto un grave impatto nei territori a forte vocazione turistica: la legge non ha previsto un periodo minimo di apertura per le attività stagionali (commercio e pubblici esercizi) e prevede la decadenza o la revoca solo quando i titolari sospendono l’attività per un periodo superiore a un anno. Che cosa può significare è evidente. «Aprono per venti giorni – spiega Mario Russu, il delegato al commercio dell’amministrazione Ragnedda – poi con la scusa dell’inventario, di una manutenzione o di una ristrutturazione chiudono i battenti e non ci si può fare assolutamente nulla. Capiamo che non si possono tenere le strutture aperte quando non c’è l’utenza. Ma così è troppo: gli imprenditori non possono venire qui a mungere la mucca per venti giorni e andarsene». Dunque, «bisogna cambiare le norme – aggiunge Rino Cudoni –, un’economia non può reggersi con soli venti giorni di apertura. Né è possibile che i lavoratori possano avere contratti di sole tre settimane, sempre che gli imprenditori non se li portino da fuori mentre gli arzachenesi restano disoccupati. E poi i turisti non ci sono solo a Ferragosto».

Già, i turisti in Sardegna non vengono solo in piena estate. Vengono, o verrebbero, anche nelle cosiddette stagioni di spalla. E negozi, bar, ristoranti chiusi di sicuro non sono un invito a tornare.
 

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