La Nuova Sardegna

Olbia

Olbia, viaggio nel tempo con il "cacciatore di stazzi"

di Dario Budroni
Olbia, viaggio nel tempo con il "cacciatore di stazzi"

Con le sue foto Aurelio Spano fa il pieno di like su Facebook. Un patrimonio storico e culturale a rischio: «Molti edifici sono in abbandono»

14 aprile 2021
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OLBIA. Il cacciatore di stazzi indossa le scarpe da trekking e si mette in marcia tra gli arbusti sempreverdi della macchia mediterranea. La sua bussola non è nient’altro che la curiosità: oltrepassa la soglia d’ingresso e finisce catapultato in un lontano passato fatto di vita rurale e vecchie consuetudini scandite dal ritmo delle stagioni. Aurelio Spano, olbiese, ha unito le sue due grandi passioni: il trekking e la storia. E così, quando ha un po’ di tempo, se ne va alla ricerca di tutti quei piccoli universi che ancora oggi resistono allo scorrere degli anni in giro per le campagne galluresi. Strutture abbandonate che rappresentano il simbolo decadente di un mondo sconfitto dalla modernità: la civiltà degli stazzi. «È come imbattersi in un fermo immagine del passato. Ciò che si può ammirare ha davvero dell’incredibile – dice Spano –. In ogni caso mi limito a osservare e a scattare fotografie, con la consapevolezza che da un giorno all’altro tutto può crollare e scomparire».

A caccia di stazzi. Aurelio Spano pubblica le sue fotografie su Facebook, collezionando ogni volta numerosi like e commenti. Nel nord Italia, nei luoghi della Grande guerra, c’è chi ama girare le montagne per andare a recuperare bossoli, elmetti e gavette arrugginite. Lui in Gallura fa più o meno la stessa cosa, ma senza toccare nulla. «Non porto via niente, perché gli stazzi hanno sempre un proprietario – spiega –. Quando il fondo è chiuso, non mi addentro mai. Spesso chiedo anche il permesso. E quando pubblico le foto su Facebook non indico il luogo proprio per evitare furti e vandalismo. La storia va preservata».

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Viaggio nella storia. Il tour negli stazzi galluresi, per un appassionato di storia, può diventare davvero esaltante. E per capirlo basta dare un’occhiata alle fotografie pubblicate sui social da Aurelio Spano, affiancato in questa sua avventura dalla compagna Mariolina Pileri. «In molti casi si possono ancora ammirare gli oggetti di vita quotidiana e anche alcuni interessanti elementi architettonici – racconta –. Ogni stazzo era come un piccolo universo in cui si viveva in autonomia, con un orto, un allevamento e una vicina fonte dell’acqua». Aurelio Spano, nelle sue uscite, fotografa di tutto. Mobili, brocche, giornali, scheletri di biciclette, calendari, letti, santini appesi alle pareti, strumenti da lavoro, posate, lettere scritte a mano. «È come entrare in una bolla temporale. Il passato sembra ancora vivo – spiega Spano –. Inoltre, in diversi stazzi si possono trovare anche dei residuati bellici. Oggetti che i pastori, nel periodo della guerra, avevano trovato e riciclato». Come per esempio fusti di carburante dell’esercito tedesco, casse porta munizioni e custodie in metallo per maschere antigas.

Passato abbandonato. La Gallura affonda le sue radici nella civiltà degli stazzi. Un patrimonio che, però, è stato recuperato solo in minima parte. «La stragrande maggioranza degli stazzi è abbandonata – dice Aurelio Spano –. Sono ancora pochi quelli ristrutturati e trasformati in abitazioni o b&b. Da quello che ho capito, comunque, il problema è solitamente ereditario. Ogni stazzo, che è abbandonato da decenni, molte volte si ritrova anche con 15 o 20 proprietari. Tutti discendenti di chi un tempo ci abitava. E mettersi d’accordo, spesso, diventa difficile».
 

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