La Nuova Sardegna

Olbia

Tra scienza e fake news

Rubens d’Oriano: «Le favole dei fantarcheologi sulla Sardegna sono un grave rischio culturale»

di Antonello Sechi
Rubens d’Oriano: «Le favole dei fantarcheologi sulla Sardegna sono un grave rischio culturale»

L’archeologo spiega le ragioni della sua battaglia contro chi racconta favole come Sardegna-Atlantide, sardi colonizzatori dell’America e contro chi va a “caricarsi di energia” nelle tombe di giganti

05 febbraio 2024
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Olbia Ci sono “favole” innocue come quella, un po’ datata ma con ancora qualche credito tra certi olbiesi, del tunnel che collega la basilica di San Simplicio a Cabu Abbas o, in una variante, al castello di Pedres. Ci sono anche favole meno innocue, come quella di coloro che vanno a «caricarsi di energia», così almeno credono, nelle tombe di giganti o in altri monumenti antichi con l’effetto collaterale di danneggiamenti piccoli e grandi. E poi ci sono le favole spacciate per scienza, come ad esempio quella di Sardegna-Atlantide, dei sardi antichi conquistatori del Mediterraneo, addirittura dei sardi scopritori e colonizzatori dell’America tanto che in Ohio, sostiene qualcuno, ci sarebbero pozzi sacri di matrice nuragica.

Rubens D’Oriano, archeologo, per decenni responsabile della Soprintendenza archeologica per Olbia e la Gallura, autore di scavi, scoperte e pubblicazioni prestigiose, anche dopo la pensione continua infaticabile la sua attività scientifica e divulgativa. Nella quale ha assunto un ruolo sempre più importante quello, se si può passare l’espressione, di “cacciatore di fantarcheologi”, ovvero di chi spaccia per scienza le sue fantasie con effetti a volte tutt’altro che innocui. Ne parla in giro nelle conferenze alle quali viene chiamato in Sardegna e non solo e ne scrive su riviste e siti internet. Pochi giorni fa, per dire, ha pubblicato un suo lungo contributo il Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze, nato nel 1989 su iniziativa di Piero Angela, scienziati e intellettuali. Un’attività anti-fake news che non è indolore. Sul web, le “favole” smontate possono generare insulti, non sempre disinteressati. D’Oriano non fa una piega.

«Dopo aver lavorato per tanti anni sul fronte della divulgazione – spiega l’archeologo – vedere che quello che va per la maggiore sono cose inaccettabili sul piano scientifico e culturale fa scattare l’obbligo morale di scendere in campo. A suo tempo, quando la nostra generazione ha cominciato a lavorare, era tutto da fare: l’epoca nuragica e l’archeologia interessavano davvero poco. Con grande impegno, abbiamo scavato, studiato e fatto crescere la sensibilità. Ora, invece, gira tanta brutta roba».

Viene da chiedere: che male c’è, per dire, a credere che la Sardegna fosse Atlantide, che i sardi siano stati i conquistatori del Mediterraneo o, ancora, che i nuragici abbiano inventato la scrittura e così via? «Quella di credere alle favole – risponde D’Oriano – è un’attitudine generale che a volte può essere pericolosa. Abbiamo visto, ad esempio, quanto danno hanno fatto alla società il negazionismo sul Covid e il no ai vaccini. Nel caso del patrimonio archeologico, succede che le favole vengono sposate a livello politico e amministrativo da enti pubblici che danno il patrocinio e finanziamenti a iniziative assolutamente inaccettabili. Con spreco di denaro pubblico. Molto di questo fa leva sulla percezione, profondamente sbagliata, che una parte dei sardi ha in rapporto al passato dell’isola. Credono che la loro identità culturale si fondi esclusivamente sulla civiltà nuragica, escludendo e cancellando tutto ciò che è venuto dopo, che percepiscono come alieno, inquietante e disturbante. È una prospettiva storica e culturale senza senso».

Non è solo questione di tunnel immaginari o di tombe di giganti che curano gravi malattie, dietro le “favole” archeologiche rischia di esserci ben altro, anche se in scala limitata: «Purtroppo – afferma l’archeologo – ormai si stanno affacciando accenni alla purezza genetica dei sardi-nuragici e questo è francamente inquietante. Le tragedie del ventesimo secolo ci hanno fatto vedere dove portano quelle derive. Si tratta di una farsa pericolosa. E non disinteressata. Se tra chi crede nella fantarcheologia c’è tanta gente in assoluta buona fede, c’è anche chi trae benefici di vario genere dalle fake news che manda in giro».

Ce n’è abbastanza, dunque, perché il “cacciatore di tesori” dell’antichità, che gli olbiesi hanno avuto modo di conoscere negli scavi eseguiti dagli anni ’80 in poi, abbia sentito il dovere morale di dare la caccia alle “favole”.

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