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Economia

Invalidità civile, svolta storica: assegno minimo garantito a tutti

Invalidità civile, svolta storica: assegno minimo garantito a tutti

Ecco cosa prevede la sentenza della Corte costituzionale, la cifra, chi può beneficiarne e da quando

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ROMA L’assegno ordinario di invalidità non potrà più essere inferiore a 603 euro mensili, anche per i lavoratori rientranti nel sistema contributivo puro, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 9 luglio. Fino ad oggi, l’integrazione al minimo era prevista solo per chi aveva una pensione liquidata con il sistema retributivo o misto.

La novità introdotta dalla Consulta estende ora questo diritto anche ai percettori dell’assegno di invalidità interamente contributivo, che finora potevano ritrovarsi con importi inferiori al minimo vitale. La sentenza non ha però effetto retroattivo. I giudici costituzionali hanno infatti stabilito che le nuove disposizioni si applicano solo a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, evitando così un impatto finanziario immediato legato al pagamento di arretrati. Il provvedimento riguarda esclusivamente gli assegni diretti, escludendo quindi la reversibilità, e il legislatore dovrà ora individuare le risorse necessarie per garantirne la copertura nel rispetto dell’equilibrio di bilancio.

Secondo la Corte, la mancata estensione dell’integrazione al minimo ai lavoratori contributivi rappresentava una violazione dei diritti garantiti dalla Costituzione. L’assegno ordinario di invalidità, introdotto nel 1984, è riconosciuto alle persone con una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo a causa di patologie fisiche o mentali, e si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia al raggiungimento dell’età pensionabile. Per richiedere l’assegno, è necessario aver versato almeno cinque anni di contributi e presentare domanda all’Inps, allegando la certificazione medica. Resta ferma, come precisato dalla Corte, la possibilità per il Parlamento di rivedere l’intera disciplina, a patto che vengano rispettati i diritti costituzionalmente garantiti.

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