Olbia, l’antico cantiere intralcia la pista ciclabile. I Moro: «Salvate la nostra storia»
I maestri d’ascia: «Favorevoli al progetto Iti, siamo pronti a fare la nostra parte»
Olbia. Il patriarca delle barche fatte a mano passeggia sul piazzale del suo vecchio cantiere. «Dopo tutti questi anni fa male, una soluzione si poteva sicuramente trovare» sospira Michele Moro, classe 1942, maestro d’ascia in pensione e anima storica del cantiere di Mogadiscio fondato dal padre Antonio. La città si trasforma, il progetto Iti avanza e l’antica attività di famiglia, secondo i piani del Comune, ormai non è più compatibile con tutto quello che sta nascendo da queste parti. E cioè prati verdi, pista ciclabile, aree fitness e piccoli chioschi sul mare. È da un pezzo che si parla dello smantellamento del cantiere Moro, il più vecchio di Olbia, e adesso, dopo novant’anni di storia fatta di legno e salsedine, il momento dell’addio al mare sembra essere inevitabilmente arrivato. In effetti la storica officina delle barche si trova nel bel mezzo dell’area che sta per essere riqualificata. Impossibile lasciare tutto come un tempo e questo i Moro lo sanno molto bene. «A noi il progetto di riqualificazione piace – dice Massimo Moro, figlio di Michele e pure lui maestro d’ascia –. E non siamo contrari alla pista ciclabile che passerà in mezzo al nostro cantiere. Avevamo anche preparato un progetto con l’idea di far coincidere la riqualificazione dell’area con il nostro antico mestiere. Le cose, però, alla fine sono andate diversamente. Non so cosa faremo. Il cantiere resterà, perché si trova in quella che è casa nostra, ma non potremo più utilizzare l’area sul mare. Spero che si possa trovare una soluzione».
La situazione. Il progetto Iti, avviato da anni, punta a riqualificare l’ansa sud del golfo, dall’ex ponte di ferro fino al teatro Michelucci. In tutta l’area di Mogadiscio nascerà un grande parco sul mare e qui passerà la pista ciclabile che arriverà fino all’aeroporto. Un tratto del percorso è stato già realizzato e si interrompe proprio a ridosso del cantiere Moro. Il sindaco Settimo Nizzi, come ha spiegato nei giorni scorsi alla Nuova , punta a liberare il fronte mare da tutto l’esistente. Il Comune ha così chiesto alla Port authority di dire stop alle concessioni per fare spazio al piano Iti. E quindi via il cantiere Moro e via anche la vicina Marina della Sacra Famiglia: quattro pontili che raccolgono le barchette di piccoli pescatori e amanti del mare in generale. E mentre gli oltre cento soci della Marina sono sul piede di guerra per salvare la loro attività e la tradizione della piccola marineria popolare, senza però opporsi al progetto Iti in generale, nel cantiere Moro si respira un clima di vera rassegnazione. Al timone oggi c’è Massimo Moro, che porta avanti la tradizione di famiglia insieme al fratello Antonio. Entrambi sanno che i tempi sono cambiati. Impossibile portare avanti la loro attività come in passato e soprattutto impensabile lasciare sul mare l’ingombrante cumulo di barche in lavorazione. «Infatti eravamo pronti a modificare ogni cosa – spiega Massimo Moro –. Avevamo chiesto di poter realizzare solo pochi e nuovi pontili, facendo passare la pista ciclabile dove deve passare e lasciando lo spazio a tutto ciò che intende realizzare il Comune. Poi io mi sarei messo a fare didattica ai ragazzi delle scuole. Il nostro è un mestiere antico e anche tra i più belli, va salvato». Sulla stessa linea il fratello Antonio: «La riqualificazione per noi è un bene, non l’abbiamo ostacolata. Eravamo anche pronti a togliere le gru». Dopo anni di attese e di dialoghi con il sindaco interrotti, a novembre è arrivata la revoca della concessione demaniale con l’obbligo di sgomberare l’area sul mare entro il 31 dicembre. Poi altri due mesi di proroga per dare il tempo di smantellare tutto. Adesso, nel vecchio piazzale del cantiere Moro, sono rimaste solo poche imbarcazioni e qualche vecchio macchinario. Presto i lavori del progetto Iti prenderanno il via anche qua dentro. «Possiamo continuare a operare nel cantiere, che per fortuna si trova a casa nostra – ripete Massimo Moro –. Ma è ovvio che ci serve il mare. Senza mare non possiamo fare praticamente nulla. Non è stata individuata un’altra area, non so come andrà a finire».
Pezzo di storia. Tra le sue mura il cantiere Moro racchiude un pezzo di storia olbiese. A fondarlo furono Antonio Moro – padre di Michele – e il fratello Paolino. Olbia si chiamava ancora Terranova e le carte, con le marche da bollo con la faccia del re, riportano la data 1934. Per decenni il cantiere si trovava nella zona di piazza Crispi e in particolare dove adesso c’è il monumento ai caduti. Nel 1963 il trasferimento a Mogadiscio, esattamente di fronte. «Io ho dato la vita per il mare – sorride Michele Moro –. Da ragazzo, in marina, ho girato il mondo. Sono andato fino a Tokyo e ho attraversato più volte il canale di Suez. E a Olbia abbiamo lavorato tantissimo, rappresentiamo una storia. Ricordo bene anche il principe Aga Khan: a Porto Cervo non ci si arrivava neanche a piedi e quindi lo accompagnavamo noi in barca a vedere quella che sarebbe poi diventata la Costa Smeralda».