La Nuova Sardegna

Olbia

La testimonianza

Buona sanità, il racconto di una paziente: «Dall’ambulanza alla sala operatoria: veri professionisti»

di Luciano Piras
Buona sanità, il racconto di una paziente: «Dall’ambulanza alla sala operatoria: veri professionisti»

La donna di 61 anni trasferita a Olbia da Lodè: «Grazie a chi tiene in piedi ogni giorno la sanità pubblica»

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Olbia. «Una esperienza positiva». Anna Sanna ha passato un’Odissea, eppure sorride. È ancora in fase di recupero, ma a conti fatti dice che meglio di così non poteva andare. Ha vissuto sulla propria pelle i “mali della sanità”, eppure ci tiene a ringraziare chi la sanità pubblica la tiene in piedi tutti i giorni. «Sono caduta e mi sono lussata un piede» racconta, ormai in convalescenza nella sua casa di Lodè, dove vive e lavora. «Sono stata trasportata dal 118 del mio paese direttamente all’ospedale “Giovanni Paolo II” di Olbia con codice 2 (il reparto ortopedico di Nuoro in quel momento era ancora chiuso). La prima fortuna è stato trovare un equipaggio favoloso: Antonio, l’autista, che ha fatto tutto il possibile per evitare buche e quant’altro. Giulia e Franca, che mi hanno confortata tutto il viaggio tenendomi la mano (secondo me gliele stavo stritolando) e prestandomi le prime cure possibili».

Da Lodè a Olbia ci sono 65 chilometri di strada, un’oretta di viaggio. «Arrivati al pronto soccorso trovo una situazione molto triste, tante persone in attesa con facce chiaramente sofferenti. Aspetto il mio turno (che a me è sembrato lunghissimo). Nel frattempo, si avvicina un’operatrice, a me è sembrata un angelo, mi parlava con dolcezza e mi chiedeva se avessi bisogno di qualcosa». Impiegata comunale, Anna Sanna ha 61 anni. «Fatti gli esami diagnostici, vengo portata in reparto. Sono passate solo tre ore e mezza dalla mia caduta. Vengo accolta da un personale preparato sia dal punto di vista professionale sia umano e questo mi ha aiutata a non deprimermi. Le “api operaie”, come le chiamavamo io e la mia compagna di stanza, il personale infermieristico, le Oss, le donne delle pulizie, lavoravano incessantemente sempre con il sorriso senza farti mai pesare nulla. Svolgevano le incombenze, anche le più umili, con naturalezza togliendoci da ogni imbarazzo».

«Ultima fase di questa esperienza è stato l’intervento chirurgico. È la decima volta che entravo in sala operatoria! Nonostante l’“esperienza” fa sempre effetto. La prima persona che mi accoglie è l’anestesista e nonostante la mascherina vedo due bei occhi rassicuranti, idem per un’altra operatrice. Le ringrazio prima di essere addormentata e scherzo sul fatto che sono tutte donne, mi correggono e mi informano che verrò operata da un uomo, rido ma ormai sono certa di essere in mani buone, circondata da professionisti. Professionisti che non sempre riescono a fare il giro delle visite perché stanno operando, che condividono la sala operatoria con altri due reparti. Ci sono continue urgenze. Hanno mesi di ferie arretrate perché non ci sono sostituti. Adesso capisco perché l’operatore che è venuto a prendermi per portarmi in sala mi ha detto: “Signora Sanna, andiamo ha vinto alla lotteria”. Aveva ragione».

«Durante il mio ricovero abbiamo riso e parlato tanto con la mia compagna di stanza, Sebastiana, guarda caso infermiera, questa volta dall’altra parte della barricata, costretta anche lei ad andare in un ospedale lontano da casa. Mi ha raccontato le difficoltà che incontra nel suo lavoro. Da questa esperienza ho imparato diverse cose, soprattutto che al mondo ci sono tante belle persone, persone che ci curano e salvano la vita nonostante le difficoltà, con uno stipendio non adeguato e come se non bastasse con il rischio quotidiano di essere aggredite. Ecco perché vorrei tanto essere per loro come un the caldo in una giornata fredda».

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