La Nuova Sardegna

Olbia

La divulgatrice

L’attivista che usa i social in gallurese: «Così trasmetto la mia lingua ai giovani»

di Paolo Ardovino

	Caterina Vittoria Roselli
Caterina Vittoria Roselli

Caterina Vittoria Roselli, 29 anni, è stata eletta presidente della Consulta intercomunale Gallura

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Calangianus Nella sua bio di instagram si descrive come mediatrice linguistica. Caterina Vittoria Roselli, 29 anni, è studiosa e divulgatrice a tutto tondo della lingua gallurese. I suoi profili social sono piccole isole dove è ammesso solo il gallurese. Ed è così che lei condivide post, video, racconti personali e iniziative sociali, con le parole imparate nella sua Calangianus e riscoperte nei luoghi digitali. Non solo lì, è chiaro, ma l’immediatezza dei social aiuta e tanto: qualche mese fa Caterina ha condiviso ai suoi follower le canzoni galluresi che più le piacciono. Anzi, per dirlo con lei, le «canzoni gaddurési chi mi fàcini pigní». “Da li reni di Lungoni” e il coro del Galletto di Gallura. Poi le cause sociali: la solidarietà alle lotte per i diritti di genere spiegati in gallurese («faiddendi comu ci faci sintí líbbari») o le pillole di linguistica («lu gaddurésu in mezu a l’alti cosi, nasci da l’amóri tra la gjenti cossa e la gjenti salda»).

Avvicinare le generazioni, applicare la propria lingua ai contesti contemporanei: sono ancore per tenere viva la parlata da Budoni a Santa Teresa. E per questo, un po’ a sorpresa, Caterina Vittoria Roselli è stata appena eletta presidente della Consulta intercomunale Gallura. I membri dell’assemblea ad Arzachena hanno alzato la mano in suo favore, alla guida del nuovo direttivo dell’ente che si occupa di promozione, tutela e valorizzazione della parlata gallurese. Caterina prende il testimone da una colonna dell’intero progetto, nato più di vent’anni fa, Piero Bardanzellu. Un traguardo «inaspettato – sorride lei –. Tante persone si sono sentite di darmi fiducia, hanno sentito il mio entusiasmo». «A differenza del sardo, il gallurese è ancora una lingua molto parlata, ma sempre meno dai giovani – spiega –. La trasmissione intergenerazionale è fondamentale. Io mi occupo di gallurese da tempo, lo uso negli spazi digitali, in riviste, e lo rappresento in progetti internazionali che connettono attivisti delle lingue minoritarie».

L’uso delle parole della propria terra faceva parte della quotidianità distratta, la «consapevolezza» è arrivata con lo studio. «Nel mio percorso accademico mi occupo di lingue, nel 2020 studiavo per un esame del mio corso di laurea, a Sassari, dedicato al plurilinguismo e lì ho visto le statistiche dell’utilizzo e le criticità di lingue come il gallurese. Uno dei temi che mi ha allarmata è il rapporto tra le donne e le lingue minoritarie, così come alcuni meccanismi: cosa significa quando un gruppo di persone in un certo contesto parlano una lingua, e in un altro invece no». Ci sono ancora alcuni freni (sociali? Autoimposti?): «Non abbiamo sempre un buon rapporto con ciò che ci rappresenta, come la lingua, e non ci interroghiamo sul perché. Vorrei cambiare la consapevolezza delle persone e lavorare per utilizzare il gallurese sempre di più». Stilato le linee programmatiche della Consulta, tra le proposte ci saranno progetti con «enti pubblici e con le scuole».

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