La Nuova Sardegna

il commento

Impariamo a fare gioco di squadra

Mario Puddu
Mario Puddu
Mario Puddu

Il dibattito aperto dall’editoriale del direttore della “Nuova” Antonio Di Rosa e proseguito con gli interventi di Christian Solinas, Roberto Frongia e Gianfranco Ganau si arricchisce del contributo di Mario Puddu, leader M5s ed ex sindaco di Assemini

05 novembre 2019
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Caro Direttore, il suo spunto dell’editoriale di qualche giorno fa è un’analisi sacrosanta della nostra situazione, il ritratto nudo e crudo della Sardegna di oggi, di ieri, direi di sempre, e il modo di rappresentarla e governarla. Non ci sarebbe da aggiungere nulla, se non qualche riflessione ulteriore. Lo spirito vuole e deve essere costruttivo. L’esempio implacabile di Milano e dell’aeroporto di Linate, che lei riporta, ci ha risparmiato l’impietoso confronto con le annose opere nostrane che come ultimazione dei lavori hanno le calende greche, ma lo ha fatto intendere. Perché tutto questo? In parte, forse, è una questione genetica e quindi apparentemente per noi non c’è speranza, ma mi rifiuto di crederlo. Comunque, pur essendoci esempi che mi smentirebbero dopo qualche secondo, in linea generale – ahimè – è inconfutabile che noi sardi non vogliamo e non sappiamo cooperare.

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Non vogliamo e non sappiamo fare squadra, non abbiamo una visione comune di quello che vogliamo per il bene della nostra isola. Come rompere questo circolo vizioso? Questa è la sfida per chi vuole davvero cambiare e non vendere slogan vuoti. Non si studia più come si faceva un tempo nelle sezioni di partito o forse non si è mai studiato, certamente non per costruire un progetto comune, sta di fatto che oggi si usa la politica per vincere le elezioni in base ai sondaggi, in base allumore delle masse, con un’unica parola d’ordine: _cambiare_. Questo termine, abusato e comodo, vuol dire tutto e non vuol dire niente se non è accompagnato da parole concrete. Il fatto è che in certi momenti le masse parlano con la pancia, reagiscono male anche a cose veramente utili, per cui non si può strutturare lazione politica assecondando il disagio e la rabbia, che spesso nascondono l’incapacità di guardare oltre il problema immediato. Le istanze dal basso sono importanti, preziose, ineludibili, ma non si può fare politica limitandosi ad assecondare l’emotività degli elettori senza avere un’idea di cosa fare dopo. Come se la Rai trasmettesse solo programmi commerciali di basso livello per aumentare gli ascolti invece di trasmissioni culturali e intelligenti per elevare il gusto dei telespettatori. E infatti negli ultimi quarant’anni un po lha fatto, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. La politica non deve pensare come una tv commerciale. Il richiamo alla pancia – ed è innegabile che l’abbia sfruttato il Movimento nel 2013 – non è sbagliato di per sé, serve per l’immediato, per rompere, per demolire, ma oltre a quello deve esserci altro, occorre un progetto, una visione d’insieme, la capacità di ascoltare tutti. Bisogna sapere cosa fare dopo aver preso la Bastiglia.

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Lo dicevo anche durante il mio mandato da sindaco, quando iniziavo a dare uno sguardo alle istanze regionali: occorre coraggio, coraggio di proporre anche qualcosa che nell’immediato è impopolare ma che alla lunga non può che dare i suoi frutti, qualcosa per cui un giorno ci diranno grazie i nostri figli o nipoti. Un altro facile slogan è la parola d’ordine _lavoro_. La tutela della salute di tutti i cittadini e il rispetto dell’ambiente non possono essere sacrificati sull’altare del ricatto del posto di lavoro: siamo sicuri che in Sardegna non esistano soluzioni diverse dalle solite in grado di coniugare occupazione e sviluppo sostenibile? Bisogna avere il coraggio di dire no a ciò che nuoce all’ambiente e alla collettività, anche se questa scelta è impopolare. Purtroppo l’interesse politico di chi non guarda oltre l’imminente elezione è tutto concentrato sui voti di oggi, non permette di avere il coraggio di dire basta e di trovare alternative. Una politica che per sopravvivere e affermarsi usa slogan per fare contente le persone il giorno del comizio è una politica ipocrita, in malafede, certamente incapace. Promettere moltissimo dicendo che è gratis è tipico di chi non ti dà niente in cambio, perché solo il niente costa niente. A metterci d’accordo non p ossono rimanere soltanto il Cagliari, Gigi Riva o l’Ichnusa. Ah, no, dimenticavo: abbiamo il mare più bello del mondo. Però intanto nell’Adriatico, che il nostro mare se lo sognano, valorizzano cento volte meglio una risorsa che da loro è scarsa. Perché hanno una visione condivisa di ciò che è bene per tutti. Noi non facciamo altro che guardarci allo specchio e ci piacciamo, ma in tanti settori siamo fermi. Bisogna superare un’altra contrapposizione, quella tra il dipendente e il datore di lavoro, come se quest’ultimo fosse sempre il cattivo.

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La tutela della classe lavoratrice è basilare, ma senza dover criminalizzare l’impresario. Anche in Sardegna conosciamo bellissime realtà imprenditoriali da cui dovremmo prendere esempio. E dovremmo aiutarle. Non abbiamo una visione comune e condivisa sull’ambiente e non ce l’abbiamo nemmeno su trasporti, turismo, lavoro ed energia. Va bene l’insularità, ma ce li vogliamo dare un paio di punti fermi da cui partire su ognuna di quelle parole? Punti fermi e priorità. O dobbiamo attendere la campagna elettorale e aspettare che i pastori, stremati, buttino il frutto del loro lavoro per le strade e poi, finite le elezioni, spariti tutti i politici solidali.

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Vogliamo avere o no il coraggio di dire che non si possono e non si devono fare nuove costruzioni a pochi metri dal mare? E poi nessuno rinnega il passato e la nostra storia, ma lo vogliamo dire che non possiamo più pensare di vivere dietro al carbone? Lo sviluppo deve passare per una strada diversa dall’inquinamento, dai danni ambientali, dalle miniere. Teniamo davvero al turismo e all’ambiente? Bene, insegniamolo nelle nostre scuole. A fin di bene, occorre coraggio. Stare dalla parte dei lavoratori non significa assecondarli in tutto e per tutto. Ci occorre un’idea comune che vada oltre le divisioni politiche, che superi i contrasti tra confederazioni di lavoratori e imprenditori. Purtroppo, un esempio della totale assenza di visione condivisa del bene collettivo è anche la sconcertante prassi del distruggere alla radice tutto l’operato del governo precedente, invece di prendere ciò che di buono ha fatto e continuarne il lavoro. Purtroppo, negli atti di questa amministrazione regionale tutto vedo tranne coraggio e visione comune. Non esistono salvatori della patria, dobbiamo impegnarci tutti insieme e remare nella stessa direzione.

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