La Nuova Sardegna

Prevediamo l'insularità nello Statuto

Filippo Spanu
Il consiglio regionale della Sardegna
Il consiglio regionale della Sardegna

Troppo a lungo abbiamo vissuto la nostra "specialità" come un regalo, è ora di rivedere il rapporto tra Stato e Regione

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Partendo dagli spunti offerti dalla Nuova sulle scelte di lungo periodo da compiere in maniera unitaria, i successivi articoli si sono soffermati sul tema dell'insularità rappresentato come fondamentale, quasi unico, vincolo allo sviluppo regionale e "mantra" della politica sarda in questa fase della nostra autonomia. Lungi dal credere che la condizione di isola della nostra regione non comporti specifici problemi da affrontare, e risolvere, pare che il dibattito sul tema stia ampiamente travalicando i caratteri della concretezza, per debordare verso elementi più propri della discussione politica generale.

La nostra condizione geografica, in particolare l'ampia distanza dalla parte peninsulare dello Stato italiano, è evidentemente la principale ragione per la quale, nella fase di costituzione della Repubblica, fu concesso alla Sardegna, cosí come ad altre 4 regioni, un regime di autonomia speciale. Non va dimenticato che ogni concessione di " specialità "si basava di fatto su questioni specifiche che, in tre casi erano dovute alla presenza di ampie minoranze linguistiche e questioni di frontiera irrisolte, nel caso della Sicilia si legavano ad un grave sommovimento separatista più che a specifiche condizioni di insularità. Nel caso della Sardegna la condizione di isola contribuì in maniera determinante, con la convinzione che l'arretratezza socio economica fosse dovuta in ampia parte a questo isolamento.

Di questa specialità ci siamo accontentati per lungo periodo convinti che, sia nel nostro Statuto (artt. 8-13) che nella stessa Carta Costituzionale (art. 116-119), fossero garantiti interventi economico-finanziari dello Stato. Una concezione dell'Autonomia, a dire il vero un po' particolare perché basata più sul concorso rafforzato dello Stato allo sviluppo, che su una vera e propria coscienza di un percorso di crescita autonoma nello sviluppo più generale dell'Italia. Non solo, ma in entrambi gli enunciati costituzionali, seppur con specifica previsione di intervento, l'intervento dello Stato mantiene un ampio grado di discrezionalità nel come e nel quando. Sarebbe giusto riflettere su questo punto prima di affidare un potere taumaturgico ad un semplice nuovo riferimento alla condizione insulare dentro l'articolo 119. Il tema della costituzionalizzazione del concetto di insularità è corretto in quanto supremo radicamento nella gerarchia delle fonti, ma la sua declinazione ha bisogno di maggior concretezza nell'individuazione dello strumento e nella specificazione della nostra condizione. Che è certamente diversa da quella della Sicilia sia per motivi geografici che per effetti socio economici.È certamente più opportuno, quindi, che la questione del nostro vincolo insulare rientri in maniera più puntuale in una nuova formulazione dello Statuto Sardo, che ha valore costituzionale, e che rimane il sacello del nostro patto con lo Stato. Non si tratta in questo caso di una questione formale ma sostanziale.

La declinazione della nostra autonomia parte dall'articolo 116 e dal Titolo V ma trova piena attuazione nello Statuto, ed è in quell'ambito che dobbiamo lavorare. Non si tratta peraltro di un concetto di attuazione, ma di un concetto fondante di revisione profonda della nostra Autonomia in un rapporto equiparato tra le Istituzioni ed i Popoli. Si tratta di rivedere il rapporto, tenendo conto che la valutazione della condizione insulare ha ormai elementi di misurazione un tempo non tenuti debitamente in conto. Che la condizione insulare della Sardegna ha caratteristiche specifiche ed uniche in Italia. E che questo specifico tipo di condizione insulare, che per precisione e brevità, chiamiamo periferica, è stata una determinante della nostra specificità sociale, economica e linguistica, ed in quanto tale deve essere riconosciuta. Troppo a lungo, come sopra accennato, abbiamo vissuto la specialità come un baratto, fatto di risorse nazionali graziosamente concesse, non sempre arrivate e da noi mal gestite. E' ora di rivedere il patto in maniera piú puntuale, cogliendo questo passaggio come elemento di grande dovere e responsabilità per il nostro popolo.*ex assessore regionale agli Affari generali

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