La Nuova Sardegna

Chi dà dignità spaventa la Meloni

Marcello Fois
Una manifestazione delle Sardine a Cagliari (foto Mario Rosas)
Una manifestazione delle Sardine a Cagliari (foto Mario Rosas)

Lo ha detto a proposito delle Sardine, invece dovrebbe esserne contenta: significherebbe tornare alla politica del cervello e non restare a quella del basso ventre

11 gennaio 2020
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Secondo l'onorevole Giorgia Meloni il Movimento delle Sardine servirebbe "per dare dignità alle sinistre" e aggiunge che "di spontaneo" ci vede poco. Ora, al di là di tutto, se fosse proprio così, "dare dignità", a chicchessia, non mi pare affatto un intento negativo. Se esistesse un movimento che "dà dignità" a compagini che fino ad oggi hanno proclamato esclusivamente antagonismo e odio sociale, non mi dispiacerebbe affatto. Ma alla Meloni, evidentemente, un avversario politico che conquista "dignità" spaventa e dà fastidio. Dovrebbe esserne contenta io credo, significherebbe ritornare alla politica del cervello e non restare a quella del basso ventre. La Meloni è donna, madre, e pure italiana, dovrebbe accogliere a braccia aperte, come solo le donne e madri hanno sempre saputo fare in questa triste società machista, qualunque istanza, spontanea o meno, che introduca finalmente la parola "dignità" nel nostro deprimente dibattito politico attuale.

Tuttavia, vuoi per il contatto diretto con l'ex ministro capo della Lega, vuoi per i sondaggi che la danno in crescita, quanto più recede dalla condizione femminile, tanto più l'onorevole Meloni ha una tendenza paradossale ad indicarci i valori come disvalori. Ergo dare dignità alle sinistre sarebbe, dal suo punto di vista, una cosa gravissima. Ma che democrazia può garantire una forza politica che osteggia, stigmatizza, paventa la dignità del proprio un avversario?

La faccenda beninteso è anche linguistica e dipende dal peso che si dà alle singole parole. La parola "antifascista" per esempio. Nel nostro ordinamento repubblicano essere "fascisti" o essere "antifascisti" non è un'opinione. Il primo lemma indica un crimine sanzionato dal codice penale, il secondo indica la condizione su cui si è fondata la Repubblica Italiana nel secondo dopoguerra. E questi sono semplicemente fatti. Si può non condividerli, si può emendarli con gli strumenti che la democrazia ci mette a disposizione, ma non si può ignorarli. Non si può cioè far finta che non esistano come ha fatto recentemente un tale Efisio Cancedda, temo un nostro corregionale, che pur condannando un atto gravissimo di razzismo perpetuato in un Pronto soccorso di Sondrio ai danni di una madre di colore che aveva perso la sua figlioletta di cinque mesi, afferma testualmente su FB: "Ovviamente si tratta di una storia tristissima. Ma aleggia sempre quel non so che di istigazione all'antifascismo e antirazzismo di cui ci siamo un po' tutti rotti le scatole". Che vuol dire Efisio Cancedda, temo compaesano, che c'è in questo Paese chi ritiene un atto negativo l'istigazione all'antifascismo e antirazzismo? E dunque che si dovrebbero diffondere come valori il fascismo e il razzismo?

Cancedda e Meloni attraversano la stessa questione di linguaggio, espongono come valori contenuti che sono di fatto disvalori: avere un avversario dignitoso o meno, definirsi fascisti e razzisti o meno. Senza considerare che persino potersi permettere questi rovesciamenti di senso è uno dei sintomi di una democrazia vera. Di una società in cui paradossalmente è possibile ipotizzare come valori l'odio sociale e quello razziale. Contro un modello, come quello a cui Meloni e Cancedda sembrerebbero tendere, in cui nessuna opinione alternativa diventi ipotizzabile. Perché come ha saggiamente scritto qualcuno è facilissimo essere fascisti in democrazia, ma provate a proclamarvi democratici durante il fascismo che ne riparliamo.

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