La Nuova Sardegna

Tutta Italia zona rossa, una scelta inevitabile

Luca Rojch
Tutta Italia zona rossa, una scelta inevitabile

L’epidemia mette in evidenza senza pietà come il sistema sanitario sardo sia rimasto senza difese immunitarie - Il commento

10 marzo 2020
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Il vuoto di strade, scuole, palestre, negozi è la pennellata perfetta di una sorta di pre apocalisse che si materializza sull’isola. E ora somiglia sempre più al nord Italia chiuso per epidemia. Vite sospese, esistenze amuchinizzate che si guardano da un metro di distanza. Città spettrali e inospitali anche nell’isola. Come fosse un kolossal di quelli che raccontano la fine del mondo. Ma è tutto vero e il piano inclinato giorno dopo giorno avvicina sempre più la realtà al set di un film. La scelta del premier Giuseppe Conte di trasformare tutta l’Italia in una unica zona rossa dà la dimensione dell’emergenza.

L’isola si allinea alle regioni del nord. E ora perde quasi senso la fuga dei cittadini dalle zone rosse che si travestono da turisti invernali. E i sardi che guardano con sospetto il vacanziere che fino a ieri amava la Sardegna “spiagge, porceddu e mirto”. Con la Regione che invoca il blocco aereo e navale nel tentativo di sigillare l’isola in cui il morbo è arrivato solo dal mare.

Ma l’epidemia mette in evidenza senza pietà come il sistema sanitario sardo sia rimasto senza difese immunitarie. La controriforma della sanità è ancora un cantiere. L’interesse sembra più catalizzato dalle poltrone che dalle corsie. Mancano il direttore sanitario del Brotzu e dell’Aou di Sassari. Non è stata data l’autorizzazione per attivare la rianimazione al Mater Olbia e all’ospedale di Alghero. Il numero di medici, infermieri e anestesisti è tanto anemico da costringere la Regione a una corsa contro il tempo per assumere personale a tempo determinato. Decenni di una politica di tagli e ridimensionamenti sulla sanità si abbattono in moto inesorabile sul sistema di prevenzione. L’aver trasformato ospedali in aziende, la sanità in una fabbrica che non può produrre perdite, i pazienti in clienti ha impoverito il sistema e lo ha reso più fragile.

L’epidemia ora fa chiudere reparti, scoppiare gli ospedali, porta i medici a scelte drammatiche e senza cuore. Chi salvare tra due malati è una domanda che non ci si può porre. Ora la Regione deve affrontare l’emergenza con un cambio di passo. Il governatore deve prendere in mano la situazione con determinazione. E non pensare alle pressioni che arrivano da lobby e partiti. Puntare a una sanità di eccellenza. Lo deve fare con scelte determinate che mettano al primo posto la salute dei sardi e la difesa dell’isola dal contagio. Deve affrontare questa guerra al coronavirus con armi spuntate. Ed è un lento rincorrere gli eventi. Un infinito affanno.

Chiudere i porti e gli aeroporti dopo una settimana di arrivi incontrollati sembra fuori tempo. Si chiede di sigillare l’isola, ma i termoscanner sono attivi solo nel porto di Olbia. Negli altri scali i “nordisti in fuga” arrivano con le macchine piene di beni di prima necessità senza che nessuno se ne accorga. Perché i divieti da soli non bastano, serve anche la percezione dell’emergenza, quella che fino a qualche giorno fa non esisteva. Serve la coscienza civile, quella che fa mettere in fila le persone a un metro di distanza, che per una volta evita che l’italiano medio si esibisca nella sua versione di “furbetto”, di libero interpretatore della legalità. Oggi si deve essere meno umorali e più morali.

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