Laura Siegemund: «La mia seconda giovinezza tra Wimbledon e la Sardegna»
La tennista tedesca a 37 anni è al top della sua carriera. «Il 2025 è stato un anno fantastico, la vita nell’isola mi dà tanta serenità»
Porto Torres «Mi alleno ogni giorno al massimo, cerco di godermi ciò che arriva e non faccio programmi a lunga scadenza. In tutto questo, quando arriva il momento di tornare in Sardegna so già che sarà tutto più semplice».
La serenità di chi ne ha viste tante e ha già fatto pace con l’idea che una carriera ai massimi livelli non può durare all’infinito; la ferocia agonistica di chi ha la stessa fame del primo giorno in cui ha preso in mano una racchetta; le gambe di chi ha da sempre nell’etica del lavoro il proprio faro. Non c’è un patto col diavolo, nella seconda giovinezza di Laura Siegemund, ma la forza mentale che solo i grandi sportivi sanno tirare fuori. A 37 anni la tennista tedesca è ancora sulla cresta dell’onda. Tra le migliori al mondo nel doppio, oggi è saldamente nella top 50 in singolare e per lei si sta per chiudere un 2025 da ricordare.
Tanti viaggi, tante vittorie e un legame sempre più solido con l’isola e in particolare con Porto Torres. Dove, quando non è in viaggio, vive e si allena insieme ad Antonio Zucca, suo trainer e compagno di vita.
Laura, per lei si può parlare di seconda giovinezza?
«Sicuramente è un bel momento della mia carriera. Si sta concludendo una bellissima annata, nella quale ho viaggiato e giocato tantissimo: sono arrivati risultati che non ci attendevamo e sono molto contenta».
Nel momento migliore della sua carriera, quando era 27ª al mondo, ha sacrificato un ginocchio alla causa. Dal baratro è risalita per ritrovarsi a 37 anni nel pieno della maturità, con la perla dei quarti di finale disputati a Wimbledon. C’è un segreto?
«Non c’è un segreto, ci sono più ingredienti. Il primo è di sicuro che mettiamo tanto impegno nel lavoro quotidiano di allenamento e preparazione. Ancora sento di riuscire a lavorare al mio massimo. Che non è lo stesso degli anni scorsi, ovviamente, ma ci lavoriamo ogni giorno».
Lei nell’ambiente non ha la fama di una che prende le cose alla leggera...
«Esatto, sono l’opposto. Do il massimo sempre e pretendo il massimo da chi lavora con me. Ne sa qualcosa Antonio, ne sa qualcosa anche il mio preparatore, Matteo Boccolini. Con entrambi c’è un’intesa perfetta perché sanno come sono fatta».
Boccolini è stato il preparatore della Dinamo del Triplete, ha seguito centinaia di giocatori e di lei dice: “non ho mai visto uno sportivo con la sua forza di volontà, attitudine e impegno”.
«Mi riconosco in quelle caratteristiche. Ma oltre a quello, oggi la mia forza è la serenità».
In che senso?
«So che la mia carriera non durerà per sempre, ma allo stesso tempo non mi chiedo mai: quanto ancora? Tutto è proiettato sul prossimo obiettivo, non oltre. Se c’è qualcosa che non va, reagisco subito. Accetto quello che viene, non penso al ranking dell’anno prossimo. E questo mi garantisce la serenità necessaria per continuare a dare il massimo. Sempre. Prima non era così, avevo troppi alti e bassi».
C’entra la sua laurea in psicologia?
«No, non credo. C’entrano l’esperienza e la mentalità. E la mentalità è la stessa di quando ero una ragazzina di 11-12 anni che voleva fortissimamente essere una tennista. Ecco, magari c’entra di più l’ambiente, c’entra la Sardegna».
Come?
«Qua si sta bene, si vive bene, dopo tanti viaggi si può staccare a livello mentale. Guarda questo circolo. Qui al Tc Porto Torres sono a casa, non sono la campionessa straniera che passa qua per caso. Mi trattano come una di famiglia e allo stesso tempo hanno grande rispetto per il fatto che sono una professionista. Se mi serve il campo a determinate ore, ho il campo. Lo stesso a Sassari, quando mi alleno alla Torres. Non pensiate che da me in Germania sia lo stesso. Magari qua non ci sono le strutture più moderne del mondo, ma io qua mi trovo meglio. E rendo di più».
In tutto questo che ruolo ha il suo compagno e allenatore, Antonio Zucca?
«Con lui sono diventata una giocatrice migliore, mi ha aiutato a superare tanti ostacoli. Avevo già ottenuto buonissimi risultati, ma ora sono nelle condizioni mentali, tecniche e fisiche per poter battere le migliori al mondo. Non sto bene solo fisicamente, con lui continuo a lavorare ogni giorno sui dettagli e a migliorare. Lui condivide le mie fortissime motivazioni, io e lui siamo sempre al 100 per cento delle nostre possibilità».
Com’è la vita di una tennista di alto livello come lei?
«Molto meno divertente, più stressante e meno appagante di quanto si possa pensare. Si guadagna tanto, certo. Ma si viaggia, si corre, si pedala ogni giorno. Si macinano chilometri in macchina e in aereo, si gioca e si gioisce pochissimo delle vittorie. Perché quando vinci devi subito rigiocare, e se hai la fortuna di vincere un torneo ce n’è immediatamente un altro con un volo di 4 ore e l’aereo già in pista. Poi io non sono una della top 10, io ai tornei ci entro spesso dalle qualificazioni. Paradossalmente il punto di rottura, il momento in cui respiri, è la sconfitta. Solo che vincere è più bello».
Riesce a godersi ogni punto? Quanto dura la gioia per una bella a giocata?
«Zero. Durante le partite mi tengo tutto dentro, in positivo e in negativo. Mi rendo conto di un grande punto, ovviamente, ma la mia mente lo mette da parte. Poi esplodo alla fine, ed è per questo che dopo una vittoria mi vedete esultare quasi senza controllo. Salta il tappo e viene fuori la gioia».
Ha preso parte a tre olimpiadi, vinto tornei di doppio e singolare, ha calcato il prato di Wimbledon e la terra rossa di Roland Garros. Quale è stata la gioia più grande?
«Forse la vittoria al torneo di Stoccarda nel 2017, perché ero a casa e perché fu un successo inaspettato. Quando ho vinto gli Us Open nel doppio, nel 2020, davanti a zero spettatori e in una situazione da zero emozioni, ma è stato fantastico. E poi la vittoria a Cancun, sempre in coppia con Vera Zvonareva».
Cosa pensa del tennis italiano?
«Che avete una marea di giocatori fortissimi in campo maschile e femminile. E che anche se queste “ondate” a volte nello sport capitano, è evidente che c’è dietro un grande lavoro con i giovani e c’è un supporto vero nel momento in cui si diventa “grandi”. Perché se non hai una famiglia ricca alle spalle, e io non ce l’ho avuta, per stare in piedi o vinci o devi smettere».
Sinner o Alcaraz: chi sceglie?
«Ognuno dei due ha doti incredibili, ma se devo scegliere preferisco Sinner».
