La Nuova Sardegna

Se la burocrazia rende più poveri

Silvia Sanna
Se la burocrazia rende più poveri

Coronavirus, il flop telematico dell'Inps

02 aprile 2020
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Noi restiamo a casa, ma voi fate in fretta. Chi è in quarantena forzata a domicilio, chi ha abbassato la serranda o chiuso lo studio professionale, osserva il calendario che cammina velocissimo e giorno dopo giorno prosciuga il conto in banca. L’emergenza sanitaria ha provocato un’altra emergenza, quella economica: lavoratori che sino a un mese fa non navigavano nell’oro ma andavano avanti con dignità, senza chiedere aiuto a nessuno. In 30 giorni è cambiato tutto.

Sono i nuovi poveri, anzi i “momentaneamente poveri”. E bisogna aiutarli subito: bonus e assegni di cassa integrazione servono come il pane se si vuole provare a fare ripartire l’economia azzoppata. Lo tzunami coronavirus ha messo in ginocchio la classe media: niente lavoro e niente più soldi, addio certezze, il domani è un’incognita che fa paura. Sono artigiani, autonomi, titolari di partite Iva, lavoratori agricoli o dello spettacolo. Sono finiti giù, in un baratro dal quale non possono riemergere da soli. Chiedono una mano forte per riportarli a galla e la chiedono subito.

I soldi sulla carta ci sono, anche se è evidente che non sono sufficienti. Ci sono i fondi stanziati dal governo e quelli messi in campo dalla Regione. Ma tutto per ora è ancora chiuso in cassaforte. Quello che è successo ieri, con il sito dell’Inps andato in tilt nel primo giorno di presentazione delle domande per il bonus da 600-800 euro, è un pessimo inizio. L’assalto al forziere telematico è iniziato nel cuore della notte, davanti al pc decine di migliaia di “momentaneamente poveri” desiderosi di tagliare per primi il traguardo.

Già, perché proprio sul sito dell’Inps è stata data la falsa notizia che il 1 aprile (qualcuno ha pensato a uno scherzo atroce) fosse un click day: chi presenta per primo la domanda, per primo avrà risposte. Non è così, non conta se la richiesta di bonus arriva oggi o tra dieci giorni: non c’è alcun ordine cronologico, ha precisato l’istituto un secondo dopo avere rimosso la falsa informazione. Troppo tardi, perché nel frattempo il sito è andato in palla.

Proviamo a immaginare la frustrazione dell’esercito con le occhiaie di fronte al pc: dopo avere superato una sorta di gara a ostacoli, tra spid, pin 1 e pin 2, avere riletto cinque o sei volte i dati da inserire nella richiesta per evitare di sbagliare, ecco che la domanda miracolosamente inviata è già diventata carta straccia. Tutto da rifare. Bisogna ricominciare da capo, ma la risposta deve essere radicalmente diversa.

Primo: eliminiamo la burocrazia, facciamo in modo che chi già sta affrontando una condizione difficile non si scoraggi di fronte a codici, numeri o formule matematiche. Secondo: i soldi devono arrivare subito perché il secondo mese senza incassi e senza stipendio potrebbe trasformare l’emergenza economica in emergenza sociale con conseguenze intuibili nell’ordine pubblico.

Chi ha figli è disposto a tutto per dargli da mangiare, evitiamo che la disperazione porti brave persone a delinquere. Per questo, considerato che l’Inps – visto anche l’esordio da incubo – in 15 giorni non potrà mai riuscire a dare risposte a tutti, è necessario che le aziende abbiano la liquidità per anticipare gli importi. I soldi devono ricominciare a girare, i conti in rosso a rimpinguarsi. Solo così si potrà ricominciare a respirare.

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