La Nuova Sardegna

IL COMMENTO. È l'ora di ripartire senza paura

di Luca Rojch
IL COMMENTO. È l'ora di ripartire senza paura

04 maggio 2020
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Pecore, cimiteri e neanche un granello di sabbia. Il mondo non sarà più lo stesso, già da oggi. Perché il virus ora giganteggia sulle macerie della logica. Per il povero cittadino la vera sfida è capire quello che si può fare nella giungla di divieti e permessi. Si potrà tosare una pecora, ma non passeggiare in spiaggia. Si potrà mangiare un bombolone appena sfornato dalla pasticceria, ma al bar è vietato. Le madri non potranno portare i propri bambini al mare, ma potranno andare a fare con loro una allegra passeggiata al cimitero. Le centinaia di migliaia di giocatori di golf in Sardegna ritorneranno sul green, ma non ci si potrà allenare nelle palestre, anche se all’aperto e distanziati.

Si potrà andare a messa per chiedere l’aiuto del Signore per superare la pandemia, ma non sollevare la saracinesca della propria attività commerciale, che magari qualche sostegno più materiale potrebbe offrirlo.L’alba della fase 2 è piena di contraddizioni. Sul decreto Conte si innesta l’ordinanza del governatore Christian Solinas, e si crea una sorta di cortocircuito. Non una riga su come vada gestita la riapertura. Non un cenno all’app, ai tamponi. Nessun accenno alle categorie che rischiano di morire di inedia da divieto. La cultura, gli spettacoli, le palestre, gli hotel, i bar i ristoranti, i servizi legati al turismo. Solo per parlare di chi non vede all’orizzonte una data di riapertura.

Ma al di là delle facili sassate che si possono tirare addosso al presidente e alla sua caotica ordinanza ci sono concreti passi avanti. L’isola va più veloce del resto d’Italia. Per prima cosa Solinas va oltre le prescrizioni del governo. E lo può fare perché la Sardegna non è la Lombardia. Il numero dei contagiati è basso e l’essere un’isola, blindata, rende più facile controllare eventuali focolai. Per questo il Governatore accelera, almeno su alcune categorie.

La Sardegna non è la Lombardia non solo per il numero di contagi, ma anche perché nell’isola non ci sono industrie, l’unica che c’è è alimentata dal sole. Il turismo. Il 2020 rischia di segnare la disintegrazione del settore. Perché una stagione per ora non esiste. I dati del tracollo degli stagionali, in Gallura ne sono stati assunti il 70 per cento in meno, basta da solo a capire la dimensione del disastro. Perché non sono solo hotel, bar e ristoranti a sentire il peso del flop, è una gigantesca catena di montaggio di prodotti e servizi che resterà inchiodata. Ingranaggi destinati a prendere polvere. O forse qualcuno davvero crede che le autarchiche vacanze dei sardi riusciranno a muovere l’economia? I sardi che sono a casa senza lavoro perché la principale impresa dell’isola, il turismo, è ferma?

Il disorientamento davanti a uno Stato etico che tratta i cittadini come sudditi da educare, anche sentimentalmente, passerà nelle prossime settimane. Ma la Sardegna potrebbe essere un passo più avanti del resto d’Italia. Sempre che lo scontro politico non diventi il terreno di contrordinanze da parte dei sindaci. Perché Solinas ha lasciato ai primi cittadini la possibilità e la responsabilità di gestire le riaperture e verificare con prudenza se il piano si possa attuare in tutta l’isola. Perché ogni Comune vive una situazione differente.

Sassari è forse l’area più a rischio, ma in Sardegna ci sono 250 centri in cui non c’è mai stato un caso di coronavirus. Difficile comprendere la protesta dei sindaci che sentono il peso di dover fare delle scelte che riguardano la tutela dei propri cittadini. Di solito quello che un amministratore dovrebbe fare. Ma che sollevano anche dubbi di legittimità dell’ordinanza di Solinas. Forse dopo due mesi di umanità in scatola, in lattice e mascherina, bombardati da morte e terrore, da tamponi e contagi, si ha quasi paura di vivere il mondo nuovo. Ma ora si deve ripartire perché la Sardegna rischia il tracollo della sua fragilissima economia. Ripartire come se si fosse alla fine di una guerra e si dovesse ricostruire una regione dalle sue macerie.

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