La Nuova Sardegna

Covid-19 e attività didattica: la distanza fa male all'università

di ANTONIETTA MAZZETTE
Covid-19 e attività didattica: la distanza fa male all'università

I rischi per Sassari: frequentare le lezioni e dare gli esami on line penalizza i piccoli atenei a favore di quelli più grandi - IL COMMENTO

07 giugno 2020
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Siamo in piena fase 2 dell’emergenza sanitaria e tutte le attività economiche hanno riaperto, tranne alcune culturali e soprattutto le scuole e le università. Non è un caso che in questi giorni si sia accesa la protesta di insegnanti e genitori per la riapertura in sicurezza della scuola a settembre. Mentre tutto tace sul fronte universitario, come se fosse quasi scontato proseguire pigramente in modalità telematica anche nel prossimo futuro. Infatti, il 20 febbraio scorso l’intero sistema universitario italiano ha interrotto le attività didattiche in presenza e le ha proseguite in modalità a distanza. Data l’emergenza sanitaria, è stato l’unico modo per evitare che gli studenti perdessero lezioni e appelli degli esami, comprese le sessioni di laurea.

Devo riconoscere che un po’ ovunque, in termini tanto organizzativi, quanto individuali come disponibilità del corpo docente (prevalentemente con risorse private) e del personale tecnico-amministrativo, il sistema universitario ha affrontato degnamente questa fase. Naturalmente sono state molte le difficoltà, anzitutto per tutti quegli studenti che non hanno potuto usufruire di connessioni adeguate – cosa che in Sardegna si è verificata spesso, anche durante la discussione della tesi di laurea –, ma ritengo che i problemi non siano stati solo di ordine tecnico, ma anche di apprendimento e di verifica, e ciò a mio avviso ha accentuato le disparità preesistenti. Questo elemento non dovrebbe essere sbrigativamente escluso dalla riflessione su come riorganizzare l’università per poter riprendere l’attività ordinaria all’apertura del nuovo anno accademico a settembre/ottobre prossimo.

Ma il punto è proprio questo: ci sarà una ripresa in sicurezza dell’attività ordinaria al prossimo anno accademico? Mi risulta che siano molti gli atenei (non tutti) che ancora non hanno predisposto un piano di rientro, compreso quello degli studenti. Piano spazio-temporale che dovrebbe contemplare: accessi e uscite separati; predisposizione in tutte le aule di strumentazioni tecnologiche adeguate, anche per poter eventualmente distribuire su più aule gli studenti che seguono le lezioni di un insegnamento; capienza massima prevista per ogni spazio, a partire dalle aule; mappa degli insegnamenti con più o meno iscritti; e così via. Piano che se non dovesse essere fatto ora (compresa la formazione del personale in termine di sicurezza), è evidente che a settembre saremo costretti a proseguire con la complessiva didattica a distanza, che non è fatta solo di lezioni frontali, ma di ricevimento studenti, attività laboratoriale, confronto e scambio di idee in senso orizzontale (tra studenti) e verticale (tra e con gli insegnanti). Insomma, tutto ciò che rende un’università una comunità didattico-scientifica. Naturalmente il tutto accompagnato da un’intesa più ampia con gli enti regionali e locali, ad esempio in materia di trasporto pubblico. Non riprendere l’attività universitaria ordinaria aggraverebbe molti problemi, qui mi limito a segnalarne tre. Un primo di ordine generale e interno all’università ha a che vedere con il fatto che la didattica a distanza non è solo “un tipo di didattica, ma un modo diverso di concepire il discorso educativo”, come ha ben argomentato Davide Viero nella rivista on-line Roars. Un secondo problema riguarda le città- sedi universitarie, la cui economia e vita sociale urbana è in buona misura alimentata dalla presenza degli studenti. Un terzo problema riguarda i piccoli atenei, come quello di Sassari, che correrebbero il rischio di vedersi ridurre il numero degli iscritti, a favore di atenei con maggior prestigio. Insomma, se uno studente può seguire a distanza le lezioni e magari sostenere anche gli esami, senza trasferirsi altrove e così gravare sul bilancio famigliare, perché mai non dovrebbe iscriversi in atenei e politecnici che hanno maggior appeal? Una delle qualità dei piccoli atenei è quella della relazionalità, ma se il rapporto umano dovesse venire a mancare…?

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