La Nuova Sardegna

La fuga di Mesina e l'insostenibile leggerezza del cliché

Marcello Fois
Graziano Mesina (foto Massimo Locci)
Graziano Mesina (foto Massimo Locci)

13 luglio 2020
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Ed ecco che finalmente i media nazionali si occupano della Sardegna. Articoli, o reportages, o servizi, sulla mancata applicazione della continuità territoriale che rende i sardi italiani di serie B oltre che ostaggi a casa loro? Articoli, o reportages, o servizi, sul dispregio del Piano Paesistico Regionale che riduce notevolmente il limite di distanza dal mare delle aree fabbricabili, dando il via all’effimera economia del mattone e del cemento? Dite che si sono interessati a faccende più amene come importanti mostre o traguardi tecnologici decisivi? No niente di tutto questo: c’è la fuga “rocambolesca” del quasi ottantenne Graziano Mesina rifattosi latitante prima dell’arresto per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga. Finalmente una notizia adeguata alla Sardegna e in grado di far risuonare quella esotica regione nei notiziari della Nazione. Una percezione che non delude quella del latitante in fuga.

C’eravamo un po’ dimenticati dei bei tempi in cui parlare di Sardegna significava vivere il brivido dell’avventura delinquenziale, della costante resistenziale, del conturbante aroma di pecorino e fuliggine, del tremore per l’attraversamento di un territorio ignoto, del “benvenuto” con cartelli stradali bucherellati a pallettoni. Ma adesso quei bei tempi sono ritornati, finalmente c’è qualcosa da chiedere agli intellettuali sardi, che, è notorio possono e sanno rispondere solo di faccende locali, dal ritrovamento nuragico, al ricordo d’infanzia nelle spiagge incontaminate, a, per l'appunto, il risveglio del banditismo locale. Puntuali come cambiali i media nazionali fanno la chiamata e, chiunque di noi, gente di cultura, di musica, o di sport, o di spettacolo viene intercettato e interrogato in merito a questa antropologica vicenda del latitare che tanto piace al lettore e allo spettatore continentale. A nessuno di noi, ben inteso viene chiesto di dare conto delle proprie attività: libro, film, disco, in uscita. Oppure viene interpellato per questioni amene, tipo come è bello farsi le vacanze in Sardegna. Per quello vengono interpellati sardi d’adozione, che ci amano tantissimo e sanno esattamente che cosa dobbiamo fare noi sardi nativi per essere veri sardi come loro.

Succede persino che qualche amico dei sardi, proprio in virtù del suo sconfinato affetto, ci tiri un po’ le orecchie e ci ricordi quanto dobbiamo a chi ha inventato il turismo per noi. Poi Mesina alla soglia degli ottant’anni fugge. Melanconico, sovrappeso, acciaccato, come il vecchio Casanova di Schnitzler. E succede che inizi la corsa al sardo di turno che voglia offrire un contributo a questo importante step mediatico. Succede che l’intervistato locale di turno non risponda adeguatamente, cioè secondo le attese più trucide, all’ispirato intervistatore, e si veda decurtato gran parte del suo articolato discorso ridotto in pillole di strepitosa ambiguità. Dall’intellettuale sardo non vogliono risposte, ma conferme.

Nelle pieghe di questa notizia tristissima, di un veteropatetismo gerontologico, sopravvive il germe della visione appagante di un territorio che non deve tradire mai le aspettative etno antropologiche che l’hanno reso così appetibile dal punto di vista mediatico. Comunque niente paura, catturato Mesina, ci resta ancora un repertorio di notevole portata mediatica estiva: donne vestite di nero coi baffi, domestiche e tate sarde, commilitoni sardignoli, sardi sparsi che quando ti sono amici ti sono amici per tutta la vita. E vogliamo rinunciare alla “proverbiale ospitalità dei sardi”? Tutti temi davvero determinanti. Forza Paris.

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