La Nuova Sardegna

Il dolore di una comunità

Gianni Bazzoni
Alberto Melone
Alberto Melone

Un altro grande dramma per Alghero: la morte del 18enne Alberto Melone e la condanna del coetaneo Lukas Saba

16 luglio 2020
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Un dolore forte, devastante ma diverso e che non può unire. Che crea una solidarietà tra famiglie ma non aiuta a capire. In mezzo c’è il baratro, la vita di un ragazzo spazzata via in modo banale e al tempo stesso grave e inaccettabile. La tragedia è nella trovata di un amico che ha sparato un colpo e ha spento anche la sua esistenza. Non c’è un canale efficace per spiegare il fatto, perché i figli non dovrebbero giocare con le pistole, non dovrebbero sfuggire alla solitudine inventando trasgressioni e azioni pericolose per sembrare più grandi, spesso solo protesi a coprire le proprie fragilità psicologiche e le crisi esistenziali. Riflettere e ascoltarsi a volte aiuta e nella morte di Alberto Melone, ucciso per sbaglio da Lukas Saba ci sono gli ingredienti del dialogo.

Anche ieri, poco prima della sentenza dei giudici che lo hanno condannato a più di 15 anni di carcere, Lukas ha scelto di parlare. E si è rivolto ai genitori della giovanissima vittima chiamandoli per nome, «Signora Mariella e signor Antonello». Ha esternato il suo immenso dolore, ha provato ancora a immedesimarsi in quel padre e quella madre che non rivedranno più il loro figlio. Ha parlato del passato, dei ricordi, dell’allegria e dei momenti trascorsi insieme. Poi è tornato alla tragedia, a quel peso che lo tormenta tutti i giorni: «Ho sulla coscienza non solo la vita di un caro amico ma anche il dolore e l'infelicità della sua famiglia». E alla fine ha chiesto perdono. É un finale che non sempre ricorre, specie in quelli da vicolo buio, dove riavvolgere il nastro è negato a chiunque. Di fronte a lui Mariella e Antonello, genitori di quell’amico che non c’è più. Una madre e un padre che non hanno mai lasciato spazio all’odio e ai sentimenti di vendetta. Hanno capito, l’hanno sempre detto. Ma hanno il diritto di chiedere che anche gli altri capiscano loro, per questo è normale affermare che nessuna sentenza potrà restituirgli Alberto e che anche i risarcimenti in denaro si fermeranno sempre lì, in quel drammatico passaggio dalla vita alla morte che non restituisce un figlio. Nessuna somma di denaro potrà cambiare la realtà: «Non ci serve niente, avremmo solo voluto vedere crescere nostro figlio. Quei soldi se mai arriveranno li daremo in beneficenza».

Dall’inizio hanno chiesto di conoscere la verità e di avere giustizia, si sono mossi senza destare clamore, senza cercare la ribalta, senza denunce forti. E dai primi momenti, il padre e la madre di Alberto Melone hanno auspicato «che quello che è successo possa essere da monito per tutti i giovani, ma anche per gli adulti. La vita merita rispetto, amore e cura. I sogni di un diciottenne non possono spegnersi per un gioco sciagurato». Alghero si porta dietro negli ultimi anni ferite profonde, lasciate da una violenza che non dovrebbe esistere in un mondo normale, che ha spazzato via la vita di donne e mamme. E anche di un ragazzino di 18 anni che aveva appena cominciato a conoscere il mondo. La città ha sempre reagito con dignità e rispetto, con doti non comuni di solidarietà e coraggio. Ma anche con la fermezza di chi crede nella giustizia. E oggi nel nome di Alberto e domani, chissà, in quello di Lukas si può provare a essere tutti migliori, meno distratti. E sviluppare quella capacità di intervento che - se ha una carica di attenzione e prevenzione - a volte può salvare vite umane.

 

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